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L’Onu, i talebani e il destino della globalizzazione

L’epoca trionfante della globalizzazione è alle nostre spalle. Oggi rimane il free trade ma il free world se la passa male. Il 30 giugno, a Doha, l’Onu accoglierà con tutti gli onori gli emissari del regime talebano in Afghanistan, e per non irritarli, l’organizzazione mondiale, a presidio della libertà e della democrazia, ha deciso di accondiscendere a ogni loro richiesta: nessuna donna afghana potrà partecipare alla suddetta riunione e i diritti delle donne dovranno restare fuori dall’agenda. Del resto, i talebani si muovono lungo una linea di coerenza: le donne non esistono nello spazio pubblico, non possono studiare, le adultere meritano il castigo e il lancio delle pietre. E l’Onu? Qual è la linea di coerenza di chi si riempie la bocca di diritti umani?

L’epopea della globalizzazione e della unificazione dei mercati attraversa un tornante decisivo nel 2008, con il più grande fallimento bancario della storia targato Lehman Brothers. Fino ad allora la supremazia del libero mercato appare un principio irrinunciabile, fondamento di una religione dogmatica in ossequio alla quale, nel 2001, l’Occidente accoglie la Cina nel WTO.

L’idea di fondo è la seguente: l’apertura dei mercati aprirà i regimi, i rapporti commerciali ed economici plasmeranno i governi verso il modello delle liberaldemocrazie occidentali. Le cose sono andate diversamente: oggigiorno osserviamo le autocrazie in buona salute e le democrazie che scendono a patti con se stesse. Pensate agli Stati uniti che, nella difficile gestione del conflitto mediorientale, si appellano pubblicamente ad Hamas, un’organizzazione terroristica che, solo pochi mesi fa, ha trucidato 1200 ebrei, stuprato le donne e smembrato i cadaveri esibendoli come trofei. L’Onu, la cui credibilità sul conflitto mediorientale è ai minimi termini avendo deciso, da tempo, di sposare le battaglie del fronte interno antisemita capitanato dall’Iran, non ha mai mancato di rivolgere accorati appelli a Washington, a Tel Aviv e ad Hamas, come se fosse una cosa normale trattare con le democrazie e con una banda di sanguinari assassini.

Questa “attrazione dei contrari”, come l’ha definita Domenico Quirico, lascia sgomenti: la fede nei mercati ha reso il mondo un posto meno libero. Se tutto vale, niente vale. Per queste ragioni, l’Occidente dovrebbe riscoprire l’orgoglio e la forza di una bussola morale che ha consentito alla nostra civiltà, nel corso dei secoli, di evolvere sul piano economico e sociale come in nessuna altra parte del mondo. La centralità della persona umana e il rispetto per la vita sono il baricentro di una comunità che ha saputo così lasciare spazi sconfinati agli individui e alla loro intraprendenza: la libertà di pensare e di agire ha dato linfa ai mercati. Tutto ciò non è mai accaduto né può accadere nella Striscia sotto dominio di Hamas, né nella Kabul in mano ai talebani. Teniamolo a mente.

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