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Il reverse ageism in Italia

“Ma hai 25 anni, sei un po’ piccolina!”. Così è iniziato l’ultimo colloquio di lavoro a cui mi sono presentata, per una posizione lavorativa apparentemente perfetta per il mio livello di esperienza e il mio percorso di studi.

Sei giovane, piena di energia e pronta a conquistare il mondo del lavoro; ma sei in Italia, e in fase di ricerca di lavoro, ti ritrovi un ostacolo inaspettato: il reverse ageism.

La prima volta che ho sentito parlare di ageism vivevo in Danimarca. Lì, i miei 25 anni erano considerati un’età adulta, pronta per assumere responsabilità lavorative e iniziare a costruire la mia vita, per cui non ho posto troppa attenzione sul tema. Tornata in Italia, dopo 9 mesi di esperienza nel freddo nordico, mi sono accorta che ero nuovamente tornata una giovane, una sorta di ‘bambocciona’ agli occhi della società, o peggio ancora, “una della GenZ” per coloro che volevano essere un po’ più trendy e al passo con i tempi.

L’ageism, come definito dall’OMS, riguarda gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni basate sull’età. Mentre, a livello mondiale, questo fenomeno si concentra sulla fascia della popolazione più anziana – e quindi, di conseguenza, anche tutte le misure per prevenirlo vengono indirizzate verso gli over 50 – in Europa si riscontra una maggiore percezione di ageism tra i giovani. Per questo motivo, da qualche anno a questa parte, si è iniziato a parlare di reverse-ageism, la forma di discriminazione che colpisce i giovani lavoratori e che si traduce in meno opportunità, disparità salariali, e, in caso di assunzione, mancata considerazione delle nostre idee e proposte sul posto di lavoro.

Insomma, a noi giovani non ci prendono sul serio. Soprattutto in Italia.

Anche se abbiamo le competenze e l’esperienza necessarie per un lavoro, spesso il nostro destino è segnato da quella data di nascita che compare nel nostro curriculum vitae o che, se omessa, viene rivelata dalle date dei nostri studi liceali o universitari.

Ma perché questa idea che i giovani siano pigri e nullafacenti sembra prevalere sulla realtà? Se molte politiche a livello globale sono orientate verso l’inclusione degli anziani proprio per prevenire queste problematiche, non dovremmo forse iniziare a pensare che in Italia siano necessarie politiche di inclusione lavorativa verso la fascia più giovane della popolazione?

D’altro canto, i lavoratori senior possono vantare una maggiore esperienza e competenze pratiche rispetto ai professionisti più giovani. Tuttavia, i giovani portano con sé una freschezza, un’energia e una voglia di imparare che possono indirizzare una crescita economica esponenziale. Non dovremmo sfruttare al massimo queste risorse?

Sofia Torlontano (nell’immagine in evidenza) è laureata in Cooperazione Internazionale, lavora come Project Assistant nella risposta umanitaria in Ucraina.

 

 

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