Potremmo chiamarli ‘ingegneri degli anticorpi’. Sono i cervelli al lavoro in argenx, azienda immunologica globale che sviluppa prodotti a base di anticorpi umani per la cura delle malattie autoimmuni. La biotech, che nel 2023 ha investito 860 milioni di dollari in Ricerca e Sviluppo, è passata da circa 300 dipendenti nel 2020 a 1.148 persone a livello globale e, qualche settimana fa, ha nominato Fabrizio Celia nuovo General Manager per l’Italia.
Professionista di lunga data nel settore, Celia – che ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità in Sandoz, Novartis, AstraZeneca e Advanced Accelerator Applications – spiega a Fortune Italia come il nostro sia un “Paese strategico per la sua azienda”, che qui punta a crescere, anche nei numeri. E ai giovani che pensano a un futuro nel pharma, consiglia “di lavorare molto sulle soft skill e sull’intelligenza emotiva, oltre che le competenze tecniche. Perché sviluppare una leadership empatica oggi è un requisito fondamentale per avere successo”.
La vostra è una biotech innovativa nel campo dell’immunologia e dell’ingegneria degli anticorpi. Come nasce l’azienda e che numeri ha oggi?
Argenx nasce nel 2008 in Belgio: è un’azienda relativamente giovane, ma è già presente su scala globale, con un forte impegno nell’ambito delle malattie rare di natura autoimmune e un primo farmaco autorizzato per la miastenia grave. Possiamo dire che in un tempo record nell’ambito delle biotech, appena 15 anni, è riuscita a riconvertirsi da impresa incentrata sulla ricerca pura a una realtà multinazionale integrata. Questo ci dà la possibilità di avere una pipeline estremamente differenziata e promettente, che ruota attorno a un modello unico nel suo genere: l’azienda mette a disposizione la propria expertise nell’ingegnerizzazione degli anticorpi, per un co-sviluppo insieme al mondo dell’accademia, della ricerca e delle società scientifiche, con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo di piattaforme innovative in ambito autoimmune.
Il nostro è un Paese con una robusta tradizione in ricerca e il pharma tricolore è primo in Europa per produzione. Che ruolo che gioca l’Italia nella strategia di sviluppo internazionale della sua azienda?
L’Italia è un Paese strategico: siamo presenti da poco meno di un anno, ma la nostra presenza vuole testimoniare l’impegno che prendiamo come multinazionale con le istituzioni e con le società scientifiche, con le associazioni dei pazienti e tutti gli stakeholder. Il nostro è un Paese estremamente florido anche per quello che riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo, che sono nel Dna di questa azienda. Voglio ricordare due numeri su tutti: l’anno scorso abbiamo investito quasi 900 milioni di dollari in ricerca e sviluppo e circa un terzo dei nostri dipendenti, ovvero il 33% su scala globale, lavora proprio in questo ambito.
Quali sono i punti di forza del nostro Paese, e quali le criticità maggiori?
Penso al tema della sostenibilità, non tanto da un punto di vista di sistema Paese ma come sfida in generale: è un aspetto fondamentale sia per le singole aziende, che per il sistema salute. Quando parliamo di partnership di co-creazione lo facciamo proprio mettendo al centro la sostenibilità, ben sapendo che la priorità è quella di dare risposte ai pazienti in tempi relativamente brevi dal punto di vista di accesso alle cure.
Argenx è impegnata in particolare nel campo delle malattie rare. Quali sono i filoni di ricerca più interessanti, e che novità avete in pipeline?
Partiamo da una solida base nella miastenia grave, ma la nostra pipeline si espande in particolare nel campo delle malattie autoimmuni rare, in quelle aree in cui non esistono attualmente opzioni terapeutiche efficaci, e su indicazioni orfane.
Lei ci parla di un’azienda in forte crescita: siete in cerca di talenti e, se sì, quali?
Siamo sempre alla ricerca di talenti, e devo dire che ne abbiamo già tanti in casa. Con l’espansione della pipeline avremo la possibilità di crescere, anche in Italia, a livello di organico. Ci sono però delle caratteristiche che distinguono i talenti che cercheremo in una fase di espansione. Penso alla capacità di rispondere in maniera veloce al contesto, sempre più complesso e mutevole nel tempo. Ma anche al fatto di saper lavorare in maniera cross funzionale, quindi in team e con uno spirito imprenditoriale. Teniamo molto al fatto che tutti nostri dipendenti vivano l’azienda con uno spirito imprenditoriale.
Lei ha una formazione da biologo molecolare. Posso chiederle che lavoro avrebbe voluto fare da bambino?
Avevo le idee un po’ confuse: dopo un anno di giurisprudenza, ho scelto biologia molecolare. Sono approdato nel mondo farmaceutico per caso, e devo dire che l’esperienza a stretto contatto coi clinici mi ha aiutato a comprendere il reale valore che possiamo portare come settore. Quindi mi sono innamorato della farmaceutica, cercando di affinare le competenze anche in ambito di marketing strategico e manageriale.
E dunque, alla luce della sua carriera e delle sue esperienze, se dovesse dare un suggerimento a un giovane alle prese con la scelta universitaria, oggi consiglierebbe il settore della salute?
Sicuramente sì: è un settore che dà tantissime soddisfazioni, soprattutto dal punto di vista etico. Penso che la motivazione che anima le persone che lavorano in questo settore sia servire i pazienti e impegnarsi per far stare meglio le persone. Quindi sicuramente lo consiglierei. Suggerisco, poi, di lavorare molto sulle soft skill e sull’intelligenza emotiva, oltre che sulle competenze tecniche, perché sviluppare una leadership empatica oggi è un requisito fondamentale per avere successo.