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Lavoro minorile, l’esercito dei piccoli italiani invisibili

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Può sembrare incredibile, ma nell’era dei social, del telelavoro e dell’AI, il nostro Paese non può chiamarsi fuori da una piaga, quella del lavoro minorile, che calpesta i diritti e stravolge la vita di troppi bambini e adolescenti. Il tutto mentre, in parallelo, aumentano i Neet, giovani che non studiano e non lavorano: quasi 1 milione e 400 mila nel nostro Paese nel 2023.

Se a livello globale le stime parlano di 160 milioni di giovanissimi sfruttati tra i 5 e i 17 anni –  quasi la metà costretti a svolgere lavori duri e pericolosi – in Italia il fenomeno riguarderebbe 336 mila ragazzini tra 7 e 15 anni, il 6,8% della popolazione di quell’età, mentre è del 20% la percentuale dei 14-15enni che hanno lavorato prima dell’età consentita dalla legge. Un ‘esercito’ di invisibili, che spesso lavora togliendo tempo alla scuola per aiutare le famiglie in difficoltà.

La situazione italiana

I dati di Save the Children (frutto di una rilevazione del 2023) e diffusi in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, sono un colpo allo stomaco. Così come le testimonianze dei giovanissimi lavoratori invisibili. “Usano la scusa che sei piccolo, che devi imparare. Le troppe ore comunque sono stancanti e il corpo a volte non ce la fa”, racconta infatti M., di Scalea.

La ricerca evidenzia anche che il 43,7% degli adolescenti tra i 15 e i 16 anni aiuta in vario modo la famiglia ad affrontare le spese e, tra questi, il 18,6% ha svolto e svolge qualche attività lavorativa per non gravare sulla famiglia in difficoltà (uno su due ha meno di 16 anni).

Il quadro che emerge è stato confermato da una ricerca dedicata al tema della povertà minorile, effettuata intervistando un campione rappresentativo di giovani tra i 15 e i 16 anni. Ebbene, il 43,7% degli adolescenti tra i 15 e i 16 anni aiuta in vario modo la famiglia ad affrontare le spese e, tra questi, il 18,6% ha svolto qualche attività lavorativa per non gravare sulla famiglia in difficoltà (uno su due ha meno di 16 anni).

Conciliare scuola e lavoro è un’impresa

Il lavoro minorile toglie spazio allo studio, come racconta M., 17 anni, di Palermo, che frequenta un istituto alberghiero e fa lavori saltuari da quando aveva 13 anni: “All’inizio avevo tanta voglia ed era bello ma poi non era più come una volta. Non c’era più quella voglia, era più faticoso, venivo pagato meno e la situazione era diventata più stressante”. Per non parlare della retribuzione: “Da grande un lavoro così no, uno giusto che pagano bene, in regola”.

Studio e lavoro sono spesso difficili da conciliare, come testimonia C., 17 anni, di Palermo, che ha fatto il fattorino mentre frequentava la scuola, è stato bocciato al secondo anno delle superiori, ha ricevuto  una paga inferiore a quella iniziale e alla fine ha lasciato anche il lavoro. Se la sua è una vicenda finita bene, grazie al supporto della famiglia e a un corso di formazione professionale, non tutti sono così fortunati.

Settori e orari

Ma dove lavorano i giovanissimi italiani? La ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%) sono fra i settori più interessati dal fenomeno del lavoro minorile, seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%), ma non mancano le nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche.

Sebbene il 70,1% dei 14-15enni che lavorano o hanno lavorato, lo abbia fatto in periodi di vacanza o giorni festivi, il lavoro è faticoso da un punto di vista della frequenza e dell’intensità: quando lavorano, più della metà dei 14-15enni lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana. E circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.

Bambini che producono cibo

C’è poi un altro aspetto di cui tenere conto. Nel mondo dei piccoli sfruttati, 7 su 10 lavorano nei campi per produrre il cibo “che spesso arriva sulle tavole europee all’insaputa dei cittadini”, sottolinea Coldiretti, che ha realizzato un’analisi ad hoc. Dalle banane dal Brasile al riso birmano, passando dalle nocciole turche ai fagioli messicani fino ad arrivare al pomodoro cinese e ai gamberetti tailandesi: ecco gli alimenti – secondo l’analisi della Coldiretti sui dati del Dipartimento del lavoro Usa – accusati di essere coltivati nel mondo grazie all’impiego di minori.

Un fenomeno contro il quale Coldiretti è intervenuta più volte e che ha portato all’approvazione da parte del Parlamento europeo del regolamento proposto dalla Commissione per vietare l’accesso al mercato comunitario alle merci ottenute dal lavoro forzato, incluso quello minorile. L’accordo attende ora l’ok del Consiglio Ue.

La strategia

Per combattere il lavoro minorile Save the Children sottolinea l’importanza di agire su più fronti, dal contrasto alla povertà economica, al sostegno all’offerta educativa e formativa, con un’azione sinergica sia a livello nazionale che locale. 

Spesso però alla fragilità legata all’età si aggiunge anche quella economica: è fondamentale favorire “un’informazione capillare circa i servizi e le opportunità messi a disposizione per garantire il diritto allo studio, dalle borse di studio agli sgravi fiscali, promuovendo l’introduzione di piani di sostegno personalizzati per i ragazzi e le ragazze che rischiano di interrompere anzitempo il percorso scolastico”.

Perchè quello dell’istruzione è un tempo fondamentale per costruire un futuro lavorativo che non sia di sfruttamento.

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