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Tassi d’interesse: cosa conviene agli italiani?

Converrebbe a tutti gli abitanti delle grandi città trovare un taxi con facilità. Ai tassisti conviene invece che i taxi siano pochi, in modo da limitare i propri tempi morti. Mentre è difficile che la generalità dei cittadini orienti il proprio voto in relazione alla disponibilità di un numero maggiore o minore di taxi, è probabile che per i tassisti questo sia un elemento decisivo. Ecco perché la politica è restia ad aumentare le licenze dei taxi: l’interesse concentrato prevale sull’interesse diffuso.

È un fenomeno noto. Con pessime conseguenze. Si pensi ai servizi pubblici, dalla scuola, alla sanità, ai trasporti urbani: è evidente come spesso la decisione politica privilegi gli interessi concentrati, di coloro che ci lavorano, rispetto all’interesse diffuso, quello degli utenti.

Meno noto è che un problema simile si presenta, forse soprattutto in Italia, con riferimento ai mercati finanziari.

Tutte le parti politiche, senza eccezione alcuna, sono schierate dalla stessa parte: sarebbe bene che la Banca Centrale riducesse i tassi d’interesse. Ma conviene davvero alla generalità degli italiani? Come è ovvio, un tasso d’interesse più elevato avvantaggia i creditori e svantaggia i debitori. L’Italia nel suo complesso è ormai un grande creditore: nel linguaggio della Banca d’Italia, la posizione patrimoniale netta sull’estero del nostro Paese è positiva, pari al 7,5% del prodotto, cioè a circa 150 mld. Se ne conclude che all’Italia conviene, a parità di altre condizioni, un tasso d’interesse più alto, non più basso.

C’è di più: quella posizione netta è la differenza fra crediti e debiti, ma buona parte dei debiti verso l’estero sono dello Stato (circa 700 mld). Per i privati, imprese e famiglie, la posizione creditoria sull’estero è pari a circa 850 mld. La convenienza relativa a tassi più alti diviene ancora più evidente.

La cosa è ancora più eclatante se si guarda a chi vota, i cittadini. Che detengono nel loro assieme una posizione finanziaria netta – l’eccesso di crediti rispetto ai debiti – di oltre 4.000 mld. Non c’è dubbio: a loro, ai cittadini elettori, non conviene affatto un tasso d’interesse basso. Dunque, anche in questo caso la convenienza dei tanti viene sacrificata. Meno facile è qui individuare a vantaggio di quali pochi.

A ben vedere non ve ne è che uno, quello del ceto politico. Che ha sempre convenienza ad accrescere il debito pubblico: può così finanziare spese che accrescono il consenso elettorale – questa strada, quel ponte, qualche assunzione, un aumento di stipendio ai dipendenti pubblici – senza esser costretto a quella cosa impopolare che è l’aumento delle tasse.

Ma, se i tassi d’interesse sono elevati, è più difficile fare debito pubblico. Ecco perché la politica è tutta schierata a favore di tassi d’interesse più bassi, e la convenienza specifica dei cittadini-elettori non trova rappresentanza. Un altro caso in cui le convenienze di pochi prevalgono sulle convenienze dei tanti.

Non facile porvi rimedio. Ma almeno lo si riconosca: quando un politico reclama tassi d’interesse più bassi è come il tassista che protesta contro un aumento nel numero delle licenze.

 

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