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Liste d’attesa, il decreto legge e il parere di medici e associazioni

Orazio Schillaci liste d'attesa

Visite ed esami anche il sabato e la domenica, un Cup unico regionale e un monitoraggio affidato all’Agenas. Basteranno le misure messe in campo dal nuovo decreto legge a mettere un freno all’odioso fenomeno delle liste d’attesa? Il provvedimento ad hoc, approvato dal Consiglio dei ministri in attesa di un successivo Ddl, punta a ottimizzare l’utilizzo delle strutture. Ma anche a popolarle di operatori: “Dal primo gennaio 2025 sarà abolito il tetto di spesa per il personale sanitario”, ha annunciato il ministro della Salute Orazio Schillaci, presentando in conferenza stampa a Palazzo Chigi il decreto legge.

Fra le novità, un registro nazionale delle segnalazioni dei cittadini sui disservizi; l’aumento delle tariffe orarie del 20% per il personale impegnato in servizi aggiuntivi contro le liste d’attesa – con una tassazione ridotta al 15% – e 100 milioni di euro per avvalersi di specialisti ambulatoriali interni per recuperare le liste d’attesa. Non solo: “Non è più accettabile che in tante realità ci siano liste chiuse, devono rimanere sempre aperte. Il singolo professionista non deve fare più prestazioni in intramoenia che prestazioni pubbliche: da monitoraggi a campione risulta drammaticamente che si fanno anche nove prestazioni nel pubblico rispetto a 90 in intramoenia”. Una dichiarazione, quella del ministro della Salute, che non ha mancato di suscitare le reazioni dei sindacati medici.

La replica dei sindacati medici

“Voler abbattere le liste d’attesa partendo dal presupposto che i responsabili vadano individuati nei medici e dirigenti sanitari è inaccettabile oltre che falso. Rispediamo al mittente metodi d’altri tempi, e di altri Paesi, con i quali realizzare addirittura la ‘stretta’ sui volumi di attività, come se già non fossero previsti, e attuati, controlli in merito. È un’offesa alla nostra professionalità, che rigettiamo”, commentano a caldo il segretario nazionale Anaao Assomed Pierino Di Silverio e  il presidente nazionale Cimo-Fesmed Guido Quici. 

“Ridurre i sempre più lunghi tempi di attesa è un diritto del cittadino e un dovere del Governo, ma occorrono misure strutturali con risorse adeguate e durature nel tempo. È, quindi, inimmaginabile separare gli interventi organizzativi dai finanziamenti, rinviando quest’ultimi ad altri tempi”, continuano. “Non è inoltre accettabile chiedere a medici e infermieri di ridurre le liste di attese lavorando anche il sabato e la domenica quando per assicurare, in quei giorni, un minimo turno di servizio, si è già costretti a ricorrere alle prestazioni aggiuntive o a medici a gettone. Di certo l’incremento del 15% della spesa per il personale potrebbe aiutare, ma a condizione che le regioni utilizzino davvero queste risorse, quando arriveranno”.

I due sindacati medici, insomma, sono sul piede di guerra: “La nostra risposta a provvedimenti punitivi o puramente cosmetici – promettono – sarà dura, a partire dal rifiuto di svolgere prestazioni aggiuntive, che ricordiamo essere su base volontaria”.

Il commento delle associazioni

Il decreto sulle liste d’attesa, “che ci riserviamo di leggere con attenzione, riconosce di fatto il carattere di urgenza della questione, anche se lo spacchettamento delle misure in due provvedimenti, un Decreto e un disegno di legge, con tempi e modalità di approvazione differenti, rischia di indebolire la portata e la cornice generale di azione”, avverte invece Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.

Due gli elementi qualificanti per Cittadinanzattiva: la previsione di integrare finalmente le agende delle strutture pubbliche e private convenzionate nei Recup regionali, “che possono diventare uno strumento fondamentale di governo delle liste di attesa e di gestione e controllo della domanda ed offerta di prestazioni sanitarie; e il previsto superamento dal 2025 del tetto di spesa per il personale sanitario, sul quale tante voci, compresa la nostra, si sono alzate in questi anni”, continua Mandorino. “Ottimo inoltre che, per decreto, si ribadisca che le agende non possono essere chiuse e che le prestazioni in intramoenia non possono superare quelle pubbliche”.

Due invece le criticità. A partire dalla modalità con cui i cittadini potranno far ricorso al privato accreditato o all’intramoenia, dietro pagamento del solo ticket, quando vengono superati i tempi di attesa previsti in relazione al codice di urgenza: “Su questo ci auguriamo ci sia chiarezza nel testo perché ad oggi è un diritto sancito solo sulla carta (già previsto dalla legge 124 del 1998). Un altro elemento di incertezza – aggiunge – è quello del rispetto dei cosiddetti ambiti territoriali, ossia della possibilità per i cittadini di ottenere visite ed esami senza doversi allontanare di chilometri dalla propria abitazione”.

C’è poi il tema degli investimenti. “La nostra proposta è che questi siano posti a carico del fondo sanitario con vincolo di utilizzo, che impegni cioè le Regioni a rendicontarne l’effettivo utilizzo per l’abbattimento delle liste di attesa”.

Il plauso di Ugl

Soddisfatto il segretario nazionale Ugl Salute Gianluca Giuliano: “Il cammino per restituire agli italiani il diritto a curarsi in tempi adeguati sembra finalmente avviato. Arrivare all’abolizione del tetto di spesa per il personale sanitario nel 2025, con l’innalzamento ora dal 10 al 15% per le Regioni che ne faranno richiesta, crediamo sia la strada da percorrere e rappresenta un atto assolutamente sensato. Si gratificano i professionisti, con il previsto aumento del 20% delle tariffe orarie per le prestazioni aggiuntive, e finalmente si applicherà una flat tax del 15% sugli straordinari al di là del reddito del singolo operatore. Ci convince anche la strategia per combattere gli eccessi sullo svolgimento dell’attività libero professionale a scapito di quella erogata attraverso il Ssn. Siamo assolutamente favorevoli all’utilizzo degli specializzandi e alla chiamata di professionisti con contratti di lavoro autonomo per dare forza agli organici e debellare l’utilizzo dei gettonisti”.

Le criticità per Aiop

“La Legge di Bilancio 2024 ha rideterminato il tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie dalle strutture di diritto privato, rispondendo, innanzitutto, alla reale esigenza di salute dei cittadini. Oggi, però, e con riferimento all’anno in corso, quella misura rischia di essere vanificata o fortemente compromessa”, avverte Barbara Cittadini, presidente nazionale Aiop.

“L’indicazione contenuta nell’ultima bozza dello schema del Dl liste d’attesa è quella di destinare prioritariamente le risorse incrementali riferite al 2024 alle strutture accreditate dotate di pronto soccorso ed afferenti alle reti tempo-dipendenti, per prestazioni con codice di priorità rosso o arancio. Prestazioni che, come è giusto e normale che sia, già ricevono una risposta puntuale dal nostro Ssn e che dovrebbero essere escluse dal tetto, poiché non può esserci limite di spesa quando si parla di salvare delle vite – ragiona Cittadini – In questo modo, invece, queste prestazioni restano, ingiustamente, soggette al vincolo di Spending Review penalizzando il 90% delle strutture di diritto privato che, pur non essendo dotate di pronto soccorso, rispondono in maniera efficace, efficiente e tempestiva alla domanda di salute della popolazione. La nostra componente era, ed è pronta, a dare il proprio contributo, ma per farlo dobbiamo avere tutti, politica compresa, una visione sul futuro anziché riproporre i vecchi schemi del passato che, evidentemente, non hanno funzionato. Aspettando di leggere l’articolato del decreto, chiediamo, quindi, al Governo di preservare la ratio della misura inserita in Legge di Bilancio, consentendo alle strutture ambulatoriali ed a quelle di ricovero del territorio nazionale di contribuire, con le proprie potenzialità, all’erogazione della totalità delle prestazioni riconosciute quali livelli essenziali di assistenza”.

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