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Natalità, pagare le donne per fare figli non funziona

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Non è solo l’Italia a fronteggiare un drammatico inverno demografico, che ha portato 379mila nuovi nati nel 2023 (-3,6% rispetto all’anno precedente). Se il crollo dei tassi di natalità ‘contagia’ l’Occidente, a livello politico da più parti si parla di investire in strategie mirate a spingere le giovani donne verso la maternità. Ebbene, se la preoccupazione di demografi e governi è comprensibile, la strategia di sovvenzionare le giovani per fare figli non paga, almeno stando a un’interessante analisi su ‘The Economist’.

Gli incentivi statali “non sembrano portare molti bambini in più, anche se la spesa aumenta”, come dimostrerebbe anche il caso della Svezia: il Paese nordico offre un programma di assistenza all’infanzia straordinariamente generoso, ma il suo tasso di fertilità totale è ancora a quota 1,7. Mentre per fare davvero la differenza l’investimento deve essere notevole, come evidenzia l’esperienza di Polonia e Francia, i cui programmi costano 1-2 milioni di dollari per ogni nascita in più. Anche in Ungheria e Russia gli incentivi statali non sembrano portare molti bambini in più, nonostante la spesa aumenti. Inoltre le sovvenzioni tendono ad andare a tutti i bambini, compresi quelli che sarebbero nati comunque.

Le strategie

Il tema è decisamente caldo. Se la questione natalità non è esclusiva del Belpaese, c’è da dire che allarma anche gli Stati Uniti: Donald Trump ha promesso dei bonus ad hoc, se tornerà alla Casa Bianca. In Francia, dove lo Stato già spende ogni anno il 3,5-4% del Pil per le politiche familiari, Emmanuel Macron vuole “riarmare demograficamente” il suo Paese. Mentre la Corea del Sud sta valutando la possibilità di fissare donazioni da circa 70.000 dollari per ogni bambino. Eppure tutti questi tentativi rischiano di fallire, perché si baserebbero su un malinteso.

I numeri

Facciamo un passo indietro. Con gli attuali tassi di natalità, ogni donna in un Paese ad alto reddito oggi avrà solo 1,6 figli nel corso della sua vita. E tutti i Paesi ricchi, ad eccezione di Israele, hanno un tasso di fertilità inferiore a quello che gli esperti definiscono ‘livello di sostituzione’, ovvero 2,1 figli per donna, cosa che renderebbe stabile una popolazione. Non solo, il declino negli ultimi dieci anni è stato più rapido di quanto previsto dagli stessi demografi.

E il Belpaese? Gli indicatori demografici del 2023 pubblicati dall’Istat indicano in Italia un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). Il calo delle nascite rispetto al 2022 è pari a 14mila unità (-3,6%) e dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il crollo è stato del 34,2%. I profeti di sventura come Elon Musk avvertono che questi cambiamenti minacciano la civiltà stessa. Sia come sia, questo porterà profondi cambiamenti sociali ed economici. Un tasso di fertilità di 1,6 significa che, senza immigrazione, ogni generazione sarà un quarto più piccola di quella precedente.

Riuscirà il mondo ricco a sfuggire alla crisi idella natalità?

La decisione di avere figli è personale e dovrebbe rimanere tale. Ma i governi devono prestare attenzione ai rapidi cambiamenti demografici. Le società che invecchiano e rimpiccioliscono probabilmente perderanno dinamismo (e potenza militare). Ma, soprattutto, si troveranno a fronteggiare il peso economico “di pensioni e assistenza sanitaria per un esercito di anziani”.  E se gli aiuti ai genitori in difficoltà riducono la povertà infantile e favoriscono il lavoro femminile, “i governi sbagliano nel ritenere che sia in loro potere aumentare i tassi di fertilità. Per prima cosa, tali politiche si fondano su una falsa diagnosi di ciò che finora ha causato il declino demografico“, sottolinea ‘The Economist’. Inoltre “potrebbero costare più dei problemi che dovrebbero risolvere”.

Chi fa meno figli

Un’ipotesi comune è che il calo dei tassi di fertilità derivi dal fatto che le donne in carriera rimandano la possibilità di avere figli. Offrendo agevolazioni fiscali e sovvenzionando l’assistenza all’infanzia, le donne non dovranno scegliere tra la famiglia e la carriera. Ma è davvero cosi? Le donne con una formazione universitaria hanno figli più tardi nella vita, ma solo di poco.  Inoltre queste donne hanno più o meno lo stesso numero di figli dei loro coetanei una generazione fa. La maggior parte del calo del tasso di fertilità nei Paesi ricchi riguarda le donne più giovani e più povere, che tardano ad avere figli e che, quindi, finiscono ad averne complessivamente meno.

Attenzione: anche indirizzare le politiche pro natalità sulle più giovani “sarebbe dannoso”, stando a questa analisi. Incentivi mirati ritarderebbero decenni di sforzi per frenare le gravidanze non consapevoli, allontanando oltretutto le giovani donne da studio e lavoro.

Flessibilità e tecnologia

Cosa possono fare allora i governi? L’immigrazione altamente qualificata può colmare i gap economici, ma non all’infinito, dato che la fertilità sta diminuendo a livello globale. La maggior parte delle economie dovrà quindi adattarsi al cambiamento,  e spetta ai governi spianare la strada. Lo stato sociale dovrà essere ripensato: gli anziani dovranno lavorare più a lungo, per ridurre il peso sulle casse pubbliche. Ma sarà anche necessario incoraggiare l’adozione di nuove tecnologie per facilitare la transizione demografica, stimolando la crescita della produttività e favorendo l’assistenza agli anziani.

Insomma, le nuove tecnologie possono aiutare i futuri genitori, proprio come fecero le lavastoviglie e le lavatrici a metà del XX secolo. Le politiche che puntano a pagare le donne che fanno figli, al confronto, “sono un errore costoso e socialmente retrogrado”.

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