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Stress e lavoro, perchè lamentarsi non paga

stress

“Risposta aspecifica dell’organismo alle richieste che riceve”. Recita più o meno così la definizione scientifica dello stress, almeno stando a chi ha sdoganato il termine, nel 1936. Ma quant’acqua è passata sotto i ponti da quando Hans Selye ha individuato una parola destinata a far parte quotidianamente del nostro dizionario. Perché lo stress, o se preferite il “logorio della vita moderna”, come recitava un famoso sketch pubblicitario di qualche decennio fa, è diventato argomento quotidiano di discussione, anche sul luogo di lavoro.

E così, chi parla della propria professione, spesso si lamenta dell’eccessivo carico psicologico e fisico che questa comporta. Insomma, racconta del proprio stress. Ma questa strategia paga? Davvero questa sorta di giaculatoria personale di approfondimento delle sofferenze vere o presunte legate all’attività professionale ci mettono in buona luce con i colleghi e, più in generale, con chi frequenta il nostro entourage?

Probabilmente no. E se siete tra quelli che scelgono di lamentarsi per quanto avviene al lavoro, convinti che questo comporti nella percezione degli altri una maggior attenzione a quanto fate e a come lo fate, forse avete preso la strada sbagliata. Perché mettere in mostro un livello di stress elevato, soprattutto se con il fine intimo di rivelare l’importanza della propria figura professionale nell’organizzazione, sarebbe controproducente. E non solo per chi ci ascolta occasionalmente, ma anche per il team nel quale si opera.

A dare questa chiave di lettura è una ricerca davvero originale, in tema di introspezione, apparsa su Personnel Psychology. Lo studio è stato condotto dagli esperti del Terry College of Business dell’Università della Georgia e rivela come chi parla sovente dello stress che accumula al lavoro, invece di ottenere comprensione e riconoscimento del ruolo, verrebbe visto come meno competente e comunque meno attraente sul fronte della simpatia dai colleghi.

Lo studio è stato coordinato da Jessica Rodell, docente di management, e viene raccontato in una nota dello stesso ateneo americano. L’indagine si è svolta in due parti. Un primo sondaggio ha esaminato le dichiarazioni di colleghi immaginari appena tornati da un convegno, con i partecipanti che dovevano giudicare questo partner lavorativo immaginario ragionando sulla sua simpatia, sulla competenza e sulle loro tendenze ad aiutarlo sul lavoro.

L’avatar creato su misura, tornando dall’incontro, si è presentato raccontando di un’ulteriore esperienza che ha aggiunto stress al tanto, troppo che il lavoro imponeva. Percezione dei colleghi (reali)? Il collega è risultato meno simpatico e meno competente rispetto a chi invece, a parità di lavoro stressante, ha parlato del valore dell’evento cui ha preso parte.

Insomma, la sintesi è chiara. Secondo la Rodell, le “persone si fanno del male (amplificando il peso dello stress a parole) pensando che le farà apparire migliori agli occhi dei colleghi”. C’è un ulteriore aspetto da tenere presente, sdoganato nella seconda parte dell’esperimento su quasi 220 interviste a persone che lavorano in gruppi.

Avere vicini colleghi che si vantano dello stress creerebbe una sorta di “epidemia” psicologica, con la percezione da parte di chi li ascolta di livelli più elevati di stress personale. Insomma. Non pensate che lo stress professionale sia una “medaglia” da appendere al petto e far luccicare, ovviamente in senso metaforico, con le parole. Si aumenta solo il rischio di creare un effetto a catena, con contagio da una persona all’altra. Quindi attenzione. Non conviene vantarsi di un eventuale pesante carico di lavoro, ma bisogna invece avere una persona con cui parlarne. Magari fuori dal luogo di lavoro.

 

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