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La trasformazione digitale della cultura ha bisogno del marketing

In collaborazione con SDA Bocconi – School of management. L’accesso all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci è contingentato da anni per impedire che la traspirazione dei visitatori danneggi l’opera. Per lo stesso motivo, le grotte rupestri di Lascaux sono state chiuse al pubblico e replicate a 200 metri di distanza. Dal 1983 si visita solo questa riproduzione, denominata Lascaux II. Per decenni, insomma, l’estrazione di valore dal patrimonio culturale è sembrata antitetica alla sua tutela.

La trasformazione digitale, però, ha determinato un cambiamento di paradigma. Grazie ad essa, valorizzazione e tutela diventano compatibili. Anzi, si rende possibile la progettazione di esperienze culturali trasformative – esperienze culturali che hanno un impatto effettivo e migliorativo sul benessere e la resilienza di chi le vive – anche per segmenti di popolazione difficili da raggiungere con le proposte culturali tradizionali. Primi tra tutti, i Neet, quei tre milioni di giovani tra i 14 e i 35 anni che, non studiando, non lavorando e non essendo impegnati in alcun percorso di formazione, sembrano aver rinunciato a ogni futuro.

Fenomeni quali il calo della capacità di attenzione fanno sì che l’accesso alla cultura sia possibile soprattutto quando si ricorre alle tecnologie emergenti, che riescono ad avvicinare anche il pubblico che più rifiuta la complessità.

Perché questa operazione risulti efficace e la tecnologia non sia un’arma a doppio taglio, però, serve un intervento di marketing; di quella disciplina, cioè, capace di individuare le variabili di segmentazione del mercato più rilevanti e di offrire soluzioni di mercato personalizzate a ogni categoria di fruitori. Nel caso della cultura e dell’arte, le variabili del pubblico da impiegare sono due: la competenza nella fruizione dell’arte e quella nell’utilizzo delle tecnologie. Di fronte alla cultura e alle tecnologie non siamo tutti uguali e la digitalizzazione delle opere non può essere il solo punto d’incontro tra i due mondi.

Se pensiamo ai Neet, per esempio, ci troviamo di fronte a un pubblico probabilmente poco avvezzo alle esperienze culturali, ma formato in gran parte da nativi digitali, con una grande dimestichezza con le tecnologie. Le soluzioni più adatte al loro coinvolgimento dovranno renderli protagonisti, prevedendo anticipazioni virtuali sui social, creando spazi fisici disegnati appositamente per essere instagrammabili e comunità di dibattito post-esperienza. Le organizzazioni più avanzate, attraverso la costruzione di un’esperienza culturale digitale, non si limitano a promuovere il consumo salvaguardando la tutela, ma progettano esperienze con un impatto culturale trasformativo. Le tecnologie emergenti arricchiscono e trasformano le esperienze culturali perché sono in grado di renderle piattaforme nuove per condividere, co-creare e generare benessere.

In un nostro recente studio, abbiamo evidenziato che il connubio tra arte e digitale può avere un impatto ampio e positivo sul benessere e la resilienza del pubblico, migliorando sei aspetti cardine: l’inclusione e coesione sociale; l’accessibilità delle esperienze culturali; l’alfabetizzazione culturale; il miglioramento delle policy adottate dalle organizzazioni culturali; lo sviluppo di un economicamente promettente ecosistema cultural-digitale; lo sviluppo personale. Fin dagli anni 90, si ritiene che il finanziamento pubblico per lo sviluppo delle arti dovrebbe enfatizzare gli impatti sulla società, concentrandosi soprattutto sull’inclusione sociale e sull’apprendimento culturale.

Nella realtà, però, almeno in Italia, i passi avanti in questa direzione sono stati pochi e i parametri effettivamente utilizzati finiscono per essere quelli tradizionali: dalla bigliettazione per i musei al numero di alzate di sipario per il teatro. Invece, l’impatto della cultura su benessere e resilienza è misurabile, deve essere misurato e può diventare il perno di un più moderno sistema di valutazione e finanziamento della cultura. Nella recente pandemia da Covid-19 la tecnologia applicata all’arte ha mantenuto in vita le organizzazioni culturali, ma, ancor più importante, ha tenuto unita la società. È nostra speranza che questo precedente favorisca un maggiore senso di responsabilità civica riguardo alla necessità di un cambiamento di paradigma, in direzione di un approccio collaborativo e integrato per implementare lo sviluppo e la trasformazione delle organizzazioni culturali e delle nostre vite individuali. In definitiva, per il benessere della società.

*Andrea Rurale è il Direttore del Master in Arts management and administration (Mama) di SDA Bocconi School of management e presidente del Fondo ambiente italiano (Fai) Lombardia.

*Michela Addis è Professoressa ordinaria di Economia e gestione delle imprese all’Università degli Studi di Roma Tre e direttrice del Centro di studi su mercati e relazioni industriali (Cesmer).

 

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