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Cervello, scoperta l’area dell’altruismo. Che succede quando non funziona

altruismo
Adyen Articolo
Velasco25

Altruisti si nasce o si diventa? In realtà la questione è molto più ‘cerebrale’. Stando infatti a una ricerca dell’Università di Birmingham e dell’Università di Oxford, la nostra volontà di aiutare gli altri è governata da una specifica regione del cervello: la corteccia prefrontale ventromediale.

Le sfide globali

Conoscere l’area dell’altruismo nel cervello è importante anche per capire come motivare le persone e aiutarle ad affrontare sfide complesse, dal cambiamento climatico alle malattie infettive, fino ai conflitti internazionali. Ma anche per trovare nuove terapie per i  disturbi delle interazioni sociali. “I comportamenti prosociali sono essenziali per affrontare le sfide globali. Eppure aiutare gli altri è spesso faticoso e gli esseri umani sono contrari allo sforzo. Comprendere come le decisioni vengono elaborate nel cervello è estremamente importante”, sottolinea Patricia Lockwood, autrice principale dello studio, pubblicato su ‘Nature Human Behaviour’.

La regione dell’altruismo

I ricercatori si sono concentrati su una regione situata nella parte anteriore del cervello, già nota perchè è importante per il processo decisionale e altre funzioni esecutive. Precedenti stud,  condotti con la risonanza magnetica, avevano collegato l’attivazione della corteccia prefrontale ventromediale a scelte che richiedono un compromesso tra le ricompense disponibili e lo sforzo per ottenerle. Ma come dimostrare che questa parte del cervello ha un ruolo essenziale per l’altruismo? Il team ha arruolato tre gruppi di soggetti: 25 pazienti con danni nell’area ‘nel mirino’, 15 con danni in altre parti del cervello e 40 persone sane (i cosiddetti ‘controlli’).

Il test

Ogni persona ha partecipato a un esperimento in cui doveva interagire con un altro soggetto in modo anonimo. I due hanno completato un compito che quantificava la rispettiva volontà di esercitare uno sforzo fisico per guadagnare ricompense (bonus in denaro) per sè e per l’altra persona. Consentendo di incontrare in anticipo il compagno, senza però vederlo, i ricercatori sono stati in grado di trasmettere la sensazione che gli sforzi avrebbero avuto conseguenze reali.

A influenzare le scelte erano (in teoria) due fattori: il bonus disponibile per i due soggetti e lo sforzo necessario per ottenere la ricompensa. Questo ha consentito ai ricercatori di misurare separatamente l’impatto del ‘conquibus’ e quello dello sforzo, utilizzando modelli matematici avanzati per quantificare con precisione la motivazione dei singoli partecipanti.

I risultato

Ebbene, come sospettavano gli scienziati, l’area del cervello ‘nel mirino’ si è rivelata necessaria per l’altruismo. I pazienti con un danno alla corteccia prefrontale ventromediale erano meno disposti ad aiutare gli altri, lo facevano con minor efficacia e finivano per guadagnavano meno denaro rispetto ai gruppi di controllo. Insomma, se l’area non funziona bene, alla fine le persone non sono solo meno inclini ad aiutare, ma le loro scelte finiscono per penalizzarle dal punto di vista economico.

In una fase successiva, i ricercatori hanno utilizzato una tecnica chiamata ‘mappatura dei sintomi della lesione’ per identificare sottoregioni ancora più specifiche, in cui il danno rendeva le persone particolarmente antisociali e riluttanti a compiere sforzi per un altro. E invece… se ad essere danneggiata era una subregione vicina ma diversa da quella ‘sotto esame’, le persone erano sorprendentemente più disposte ad aiutare.

“Oltre a comprendere meglio la motivazione prosociale, questo studio – aggiunge la co-autrice, Jo Cutler dell’University of Birmingham – potrebbe anche aiutarci a sviluppare nuovi trattamenti per disturbi come la psicopatia”. Non solo. “Questa regione del cervello è particolarmente interessante perché sappiamo che subisce uno sviluppo tardivo negli adolescenti e cambia anche quando invecchiamo“, conclude Lockwood. “Sarà davvero interessante vedere se quest’area del cervello può anche essere influenzata dall’istruzione”. Insomma, se alla fin fine altruisti si potrebbe anche diventare.

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