Giosi Ferrandino, 61 anni compiuti da poco, ingegnere di professione, ha una passione per la politica. Idee tante, ideologia zero. Nella sua vita pubblica, forse anche per formazione professionale e culturale, si è sempre distinto per capacità di risolvere problemi e amministrare le comunità che l’hanno eletto, badando ai risultati. È stato sempre premiato, a ogni elezione. È stato più volte sindaco sull’isola di Ischia. Oggi è parlamentare europeo uscente e ricandidato per Azione di Carlo Calenda oltre a essere sindaco del comune di Casamicciola, ruolo ricoperto già dal 2002 al 2007, così come è stato primo cittadino anche al Comune di Ischia dal 2007 al 2017.
L’intervista
Onorevole Ferrandino, quant’è importante il Parlamento europeo, istituzione che ha una legittimazione popolare, se poi nei fatti i Governi e i Parlamenti nazionali hanno ancora preponderanza nelle scelte politiche più importanti?
Le faccio un esempio che credo risponda bene alla domanda: il Recovery fund, traslato in Italia nel Pnrr. Nasce per volontà del Parlamento europeo, per dare risposte a cittadini e imprese messe alla prova da lockdown e Covid. È un esempio, uno dei tanti che potrei fare. Ma restituisce nei fatti quanto quel processo di trasformazione dell’Ue invocato a gran voce da molti sia già avviato nei fatti. Poi c’è il Consiglio che è un organismo vetusto, retaggio di una idea di Europa, quella della libera circolazione di merci e persone, che è stata ampiamente superata. Oggi l’Europa è un organismo politico complesso, che incide direttamente su oltre l’80% delle scelte politiche dei singoli Stati. Completare il percorso federale significa: ridimensionare il ruolo del Consiglio, eliminando anche il diritto di veto; prevedere l’elezione diretta del presidente della Commissione europea; rafforzare i poteri del Parlamento.
Quali sono i temi che le piacerebbe fossero affrontati e dibattuti per chiedere il consenso agli italiani?
Le politiche europee sono spesso ostiche per l’opinione pubblica perché trattano macrotemi. Queste però incidono nella vita di tutti i giorni, quindi andrebbero seguite con maggior attenzione da parte di tutti. Questo è un tema. L’altro è l’idea stessa d’Europa. Siamo giunti ad un crocevia decisivo della nostra storia comune, perché si fronteggiano due idee di Europa diverse e distanti tra loro. I sovranisti e le destre vogliono un’Europa divisa, in cui gli egoismi dei singoli Stati prevalgano sull’interesse comune. Noi vogliamo un’Europa federale, che completi il disegno immaginato da Spinelli e dai padri fondatori. Un’Europa che sia autorevole, autosufficiente.
È d’accordo con chi dice che l’Europa è un gigante economico ma un nano politico? E se è d’accordo che cosa deve succedere perché questa potenza economica diventi anche politica?
Paghiamo lo scotto della mancata ratifica della Costituzione europea del 2005. Quel passaggio avrebbe trasformato l’Unione europea in uno Stato federale dotato di tutte le funzioni proprie di uno Stato. Il paradosso sa qual è? Oggi parliamo di difesa comune, debito comune, fisco comune, politica estera comune. Abbiamo perso 20 anni per ritrovarci esattamente allo stesso punto. I Trattati vanno riformati, il processo di integrazione europea completato. Nella Conferenza sul futuro dell’Europa ne abbiamo discusso fino allo sfinimento. Questo si tramuterà in decisioni politiche? Non saprei dirlo, ma posso assicurare con certezza che Azione impegnerà ogni sua singola risorsa per fare in modo che avvenga.
Lei è politico pragmatico, attento ai problemi da risolvere. Ha fatto e fa il sindaco sull’isola d’Ischia, si è sempre confrontato con i problemi reali dei cittadini. Ora, al netto della polemica politica spicciola, che cosa può fare l’Europa per il Sud dell’Italia, per risolvere quel gap infrastrutturale con il Nord di cui spesso si parla ma che sembra difficile da colmare?
Dobbiamo cambiare prospettiva, chiederci cosa possiamo fare noi del Sud per risollevarci, perché l’Europa fa già molto. Dal 2021 al 2027 sono stati assegnati al Sud 103 mld per quelle che vengono definite ‘Politiche di coesione’, cioè le politiche che servono a colmare il gap di cui parla. A questi poi vanno aggiunti i fondi del Pnrr. Saremo in grado di spenderli e spenderli per le cose giuste? Perché il tema è questo. Negli anni abbiamo dimostrato di non esserne capaci. Siamo penultimi in Europa per capacità di spesa, solo la Croazia fa peggio di noi. A livello nazionale, spendiamo il 38% delle risorse che ci vengono assegnate. Significa che su 100 mld, 62 li restituiamo all’Europa perché non sappiamo come utilizzarli. Quei soldi poi finiscono alla Polonia, alla Romania, all’Ungheria, Paesi che spendono in infrastrutture, digitalizzazione. Paesi che non solo spendono tutte le risorse che gli vengono assegnate, ma che sono capaci di spendere anche quelle che non riusciamo a spendere noi.
Lei si ricandida al Parlamento europeo con Carlo Calenda. Che cosa l’ha spinta a scegliere questo campo? E questo cambia qualcosa nella sua attività politica di uomo del Sud impegnato per Molise, Abruzzo, Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, l’intero Sud?
Sono andato via dal Pd per due ragioni specifiche: la deriva massimalista della nuova segreteria e la rincorsa incomprensibile al populismo dei 5 Stelle. Sono sempre stato un riformista liberale, Azione è stata la scelta più naturale una volta naufragata l’idea del Terzo Polo. Dal mio punto di vista non è cambiato nulla. Con Calenda e gli altri amici di Azione condividiamo visione politica ed ideali. Certo, ho dovuto spiegare le ragioni della mia scelta agli elettori. Qualcuno si è arrabbiato, com’è normale che sia. Ma la stragrande maggioranza non solo ha compreso la scelta, l’ha condivisa.
Stiamo vivendo tempi incerti. Citando le parole di Papa Francesco è ormai in atto la “terza guerra mondiale a pezzi”. Ecco, l’Europa, soprattutto in vista di un possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca e un ridimensionamento del ruolo della Nato, come intende sostenere e finanziare la sua sicurezza collettiva ed essere più incisiva in politica estera parlando ad una sola voce?
Intanto non credo ad un ridimensionamento della Nato, nemmeno qualora Trump dovesse vincere le presidenziali Usa. Anche se ultimamente può sembrare un po’ sofferente, la democrazia americana è solida ed ha gli strumenti necessari a preservare il suo ruolo nell’Alleanza atlantica. Detto questo, è scontato che l’Europa deve trovare una sua sintesi. Oggi, se parliamo di spesa militare, solo gli Stati Uniti a livello mondiale spendono più di noi. Il punto è che noi lo facciamo in 27 modi diversi. Esercito comune non significa corsa al riarmo, significa semplicemente razionalizzare la spesa ed uniformare a livello europeo standard e procedure militari.