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Gianmatteo Manghi, Ceo di Cisco Italia: bisogna restituire al lavoro la pienezza dell’esperienza

lavoro diversità inclusione dimissioni

In collaborazione con eFM – Engaging Places e il Founder Venture Thinking. È l’alba sulla spiaggia del Purgatorio e Dante riconosce, tra i penitenti, il suo amico Casella. Mosso dall’affetto, prova ad abbracciarlo, ma non ci riesce. Le anime, si sa, non hanno corpo. Eppure lui ci prova ancora e ancora, come a voler sottolineare che quel momento – per compiersi davvero, fino in fondo – avrebbe bisogno di un contatto, di un’esperienza che potremmo definire ‘aumentata’. Il digitale non è l’aldilà, ovviamente, e i nostri meeting di lavoro hanno di solito meno trasporto e meno intensità degli episodi danteschi, eppure anche noi sentiamo, talvolta, una certa insoddisfazione quando ci colleghiamo a distanza, come se quell’esperienza fosse ‘parziale’ e non ci consentisse di vivere appieno la relazione.

Una delle sfide della transizione tecnologica riguarda proprio la qualità dell’esperienza lavorativa ibrida. La connessione di per sé è un traguardo acquisito, oggi l’asticella è salita e si confronta con la natura composita della presenza, con la possibilità di ‘abitare’ davvero i momenti che ci vedono coinvolti. Il digitale che unisce i puntini lascia il posto al digitale che nutre le connessioni, che si ibrida con il reale, restituendo un senso di pienezza alla persona. Ed è su questo tema che ho voluto coinvolgere Gianmatteo Manghi, Ceo di Cisco Italia. Lo stimolo è trasformare il modo con cui le persone si connettono, comunicano e collaborano, attraverso sistemi intelligenti e architetture digitali.

“La flessibilità è diventata una dimensione strutturale: ci sarà sempre qualcuno che si connetterà con noi a distanza”, ha precisato Gianmatteo. “Per questo la responsabilità che abbiamo è quella di orientare la tecnologia perché ciascuno abbia la migliore esperienza possibile. Oggi sappiamo che il lavoro flessibile – se configurato per essere motivante e soddisfacente per le persone – aumenta di molto la produttività. Di contro, il lavoro in presenza – vissuto come momento di scambio e di costruzione di rapporti di fiducia – incide in modo netto sull’innovazione e sulla costruzione di un sentire condiviso”.

Ne deriva un’idea totalmente diversa di luogo di lavoro: non più un contesto monolitico in cui fisico e digitale sono alternativi, ma un mosaico di configurazioni che si integrano in un equilibrio ponderato. In questo senso, la tecnologia non si limita al bisogno di connettività, ma si misura nella capacità di unificare le due dimensioni, rendendole un percorso unico, indipendentemente dalla modalità di partecipazione che scegliamo. Perché è nel lungo respiro, nel plus di un palinsesto composito che viene generato il valore dell’esperienza. Quanto avrebbe voluto Dante aggiungere a quella ‘connessione a distanza’ con Casella, un secondo momento in presenza, in cui lasciare voce al contatto, allo stare insieme. Ecco, il luogo di lavoro è questo: uno spazio in cui momenti diversi compongono la pienezza dell’esercizio della propria professione.

“In Cisco non usiamo più la parola ufficio. Parliamo invece di collaboration spaces”, ha aggiunto Gianmatteo Manghi, facendo riferimento, in primis, alla nuova sede di Cisco a Milano. “Un luogo di lavoro deve essere attrattivo, soprattutto agli occhi dei giovani: avere un design che favorisca il benessere, essere facilmente raggiungibile, farsi espressione di un territorio e intercettarne il valore, coglierne l’iconicità. Allo stesso tempo deve avere una dotazione tecnologica che ‘aumenti’ le opportunità e moltiplichi il potenziale di ciascuno: penso ai sistemi di video conferenza con intelligenza artificiale, che garantiscono continuità di trasmissione anche in condizioni di scarso segnale, che permettono il riconoscimento automatico dei relatori, che operano una sintesi ordinata dei meeting e restituiscono un ruolo alla prossemica, valorizzando anche la comunicazione non verbale.

Infine, un luogo di lavoro deve essere sostenibile, da tutti i punti di vista: raggiungibile con i mezzi pubblici, pensato e costruito per limitare al massimo l’impatto ambientale, ottimizzando le risorse in modo intelligente e misurando tutti quegli indicatori – ad esempio: aria, illuminazione, temperatura – da cui dipende la qualità dello spazio e quindi il benessere della persona. Sappiamo che una persona che viene messa nella condizione di dare il meglio di sé, aumenta la propria produttività in modo sostanziale”.

La percentuale di aumento, secondo i dati resi noti da Gallup, è del 20%. Questo tipo di impatto è certamente legato alla capacità di uno spazio di intercettare le esigenze e le ‘storie’ delle persone e restituire un disegno architettonico in grado di adattarsi nel tempo, ma oggi amplia il proprio perimetro, fino ad includere un universo più ampio di fattori, che ha a che fare con l’intangibilità del percepito. Ecco perché si guarda al digitale non più soltanto come strumento di progettazione e di gestione intelligente dello spazio, ma anche e soprattutto come piattaforma di incontro tra domanda e offerta, come strumento di monitoraggio del capitale relazionale, come motore di quell’aggregazione tematica che agevola la nascita di distretti di innovazione su larga scala, connettendo soggetti e territori diversi e lontani.

“L’innovazione nasce per definizione dall’incontro e dal dialogo e, da questo punto di vista, il digitale può certamente farsi amplificatore, ma la vera differenza la fa l’approccio culturale” ha precisato Gianmatteo Manghi. “Come Cisco, investiamo moltissimo nelle relazioni aggreganti, ossia in quelle relazioni generative che ci vedono parte di ecosistemi. Penso agli incubatori o agli acceleratori, ai tantissimi progetti – dalla mobilità alla rigenerazione – in cui ci confrontiamo con altri soggetti per la messa a punto di soluzioni condivise, agli scenari di formazione e di cultura della scienza, sempre in una logica di moltiplicare le reciproche competenze e annullare le distanze. Torniamo sempre lì: la tecnologia è un moltiplicatore di valore quando produce un miglioramento nella condizione di vita e di lavoro delle persone”.

Un esempio chiaro a tutti è quello che sta succedendo con i piccoli comuni, i borghi, le isole e le terre di confine, nel nostro Paese. Dopo anni di migrazione forzata, oggi la loro proposizione di vita autentica e sostenibile sta trasformando il paradigma del lavoro, anche in virtù di una tecnologia che consente il superamento delle distanze strutturali e di una cultura aziendale che ha finalmente riconosciuto ai territori quel valore aggiunto in termini di stimolo e di serenità emotiva. Molte le aziende che sperimentano soluzioni di lavoro distribuito, attivando spazi condivisi – più di 300 quelli di Hubquarter in tutta Italia – o potenziando soluzioni ibride di remote working.

“È una prospettiva, questa, di grande attualità. Noi stessi stiamo portando avanti diverse sperimentazioni – penso alla piattaforma sviluppata al fianco dell’Università Ca’ Foscari – per rendere possibile lavorare a distanza in città diverse da quelle in cui ha sede la propria azienda. Penso che questo sia il cuore del cambiamento: il lavoro non è più un biglietto di sola andata. Sono le aziende che vanno a cercare i talenti, ovunque vivano, e lasciano che fioriscano lì, nei loro luoghi, senza costringerli ad andare via”.

*Daniele di Fausto è il CEO eFM – Engaging Places e il Founder di Venture Thinking.

 

 

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