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Dispositivi medici tra payback e nuove sfide, parla Barni (Confindustria Dm)

Volontà di cambiare le cose. Nicola Barni spiega così la sua decisione di candidarsi alla guida di Confindustria dispositivi medici, associazione che riunisce oltre 400 aziende attive nel nostro Paese, con un mercato da 18,3 mld di euro (che nell’ultimo anno ha visto crescere l’export del 3,5%). E di farlo in un periodo tanto turbolento per il settore.

Classe 1976, una laurea in Economia all’Università degli Studi di Brescia e un Mba alla MIB School of Management di Trieste, Barni è general manager e managing director di Hollister Incorporated. Curiosità è una parola che ricorre spesso nel dialogo con il presidente, che fin da piccolo adorava i motori. Smontava e rimontava il motorino (“alla fine mancava sempre qualche pezzo”, sorride) e per un po’ ha coltivato anche il sogno di fare il calciatore a livello professionistico. “Poi però ho seguito l’esempio di mio padre, un manager che mi ha ispirato”. E per il suo mandato ha un obiettivo ambizioso: “Non voglio essere ricordato come l’uomo del payback, ma come quello che ha portato a casa una nuova governance per il nostro settore”.

L’intervista

I dispositivi medici stanno affrontando una serie di sfide, dal payback alla tassa sul fatturato, fino alle crisi internazionali.

Il payback è certamente la madre di tutte le insidie: sono state cambiare le regole del gioco a partita iniziata. A ciò si aggiunge il balzello dello 0,75%, che non è caduto dal cielo (l’articolo 28 del decreto legislativo numero 137/2022 istituisce il ‘Fondo per il governo dei dispositivi medici’, prevedendo al comma 1 che sia alimentato da una quota annuale pari allo 0,75 per cento del fatturato, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, derivante dalla vendita al Ssn dei dispositivi medici e delle grandi apparecchiature da parte delle aziende che producono o commercializzano dispositivi medici, ndr). Ma voglio anche ricordare che l’Italia è l’unica Nazione europea ad aver recepito la possibilità di implementare un fondo da destinarsi al governo dei dispositivi medici e crediamo che tale prelievo debba essere inserito in una visione organica, quindi in una governance strutturata del settore. Insomma, è necessario un disegno strategico che bilanci la sostenibilità economica del Ssn con lo sviluppo delle imprese.

Abbiamo definito il payback una spada di Damocle, a che punto siamo?

Al momento sul fronte del payback, dopo il pronunciamento del Tar del Lazio, attendiamo l’udienza della Consulta del 22 maggio: non ci aspettiamo naturalmente una sentenza seduta stante, ma sarà un momento interessante per capire finalmente l’orientamento della Corte. Comunque lo confermo: il  payback è una spada di Damocle che costringe le aziende a operare in un sistema di grande incertezza.

Che si somma alle altre criticità: pensiamo ai conflitti in corso. Come hanno impattato sul settore?

Qualche azienda ha sperimentato maggiori difficoltà nell’approvvigionamento, se non altro anche perché i tempi per la consegna delle merci e dei prodotti si sono dilatati. Nel nostro settore sono aumentati i costi della logistica e delle materie prime. Un fenomeno che si è già fatto sentire nei mesi scorsi e che aveva spinto le imprese a cercare di rinegoziare le gare in essere con le pubbliche amministrazioni, ottenendo in alcuni casi risultati positivi. E questo è un segnale positivo. Il fatto è che l’incertezza porta a una minor partecipazione alle gare d’appalto. A tutto ciò si aggiunge lo 0,75%, un balzello che ci saremmo aspettati facesse parte di un disegno più organico di revisione della governance. Così non dovrebbe stupire che la posizione dell’industria è stata quella di fare ricorso: circa 150-180 diverse aziende hanno fatto questa scelta. Ma voglio ricordare che, in caso di vittoria, questa è una battaglia vinta per tutti. Insomma, ci troviamo alle prese con una serie di questioni importanti, questa ma anche quella del payback, che dovrebbero risolversi nei prossimi mesi.

Qual è il messaggio per l’Esecutivo?

Resto convinto che  sarebbe utile sedersi attorno a un tavolo con le istituzioni per affrontare una nuova governance del settore. Penso a un tavolo dove parlare di politica industriale: perché se un settore viene vessato, chiaramente non ci sono incentivi a investire. Mentre l’Italia ha bisogno di investimenti, di crescita. Ecco perché mi lascia perplesso registrare un atteggiamento un po’ attendista, che a mio avviso non paga. E questo comunque vadano le cose (in tema di ricorsi, ndr). Quindi perché non cominciare a dialogare e a fare delle proposte? I competitor sono internazionali, la sfida è globale e non è possibile ragionare a livello di singolo Paese. L’Europa negli ultimi anni ha perso terreno rispetto a Cina, India e Stati Uniti in maniera importante. E il fatto, ad esempio, che soltanto noi abbiamo il payback non stimola i gruppi internazionali a investire o ad aprire stabilimenti produttivi nel nostro Paese. Il problema, insomma, sta nell’incertezza del diritto. Così, piuttosto, si guarda alla Francia o alla Germania. All’interno del sistema europeo l’Italia è il Paese meno competitivo. E questo perché il payback è andato a minare la certezza del diritto. In ogni caso io non voglio essere il presidente che per quattro anni va a parlare di payback: voglio parlare di futuro. Quello che mi interessa davvero è dare un contributo alla governance dei dispositivi medici. Vorrei che questo fosse il mio lascito, anche perché vediamo chiaramente che l’attuale sistema non funziona più. È un momento cruciale per ragionare sulla sanità del futuro. Tutto il resto, anche il payback, viene di conseguenza.

Che consiglio darebbe a un giovane che sta decidendo cosa fare da grande?

Devo dire che io stesso ho scelto Economia perché mi lasciava aperte molte porte. Oggi posso affermare di aver avuto ragione. Se non hai una visione molto chiara di quello che vuoi fare, una passione, penso che studiare Economia possa essere una scelta intelligente. Dopodiché confesso che sto pensando a una seconda laurea in Filosofia: in un momento in cui si parla tanto di intelligenza artificiale, tecnologie futuristiche, trovo fondamentale riportare al centro l’uomo, la persona. Perché l’economia ci aiuta a capire come gira il mondo, la filosofia ci insegna a ragionare. Tenendo presente anche che non sempre una carriera è caratterizzata da passaggi verticali ben chiari: spesso si arriva all’obiettivo attraverso strade diverse rispetto a quelle che ci saremmo aspettati.

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