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Principato di Monaco: Arti nobili

Nei due chilometri quadrati tra la Côte d’Azur di Cap d’Ail e Cape Martin-Menton(e) il Principatu de Mùnegu riversa la propria miscela, più stirred che shaken, di atout & cliché. Teniamo sullo sfondo i secondi, però non troppo ché a inseguire l’insolito si rischia, al solito, la solita storia. Coi primi puntiamo piuttosto ad un compendio nel segno di arti, varie e non eventuali.

Partiamo dalla mappa di Printemps des Arts: l’edizione #40 del festival s’è da poco conclusa ma gli spazi che anno dopo anno vengono scelti per il programma di melodie cólte – arcinote e d’interstizio, d’antan o d’avanguardia (e tutto ciò che sta in mezzo) – servono da viatico e portolano alla scoperta della mini-nazione biancorossa tra luoghi e loghi comuni o insoliti, in ogni caso rappresentativi.

Primo scalo lo Yacht Club di sir Norman Foster: esclusivo, iconico e icastico comme il faut, è un natante piantato da un decennio all’imbocco del tunnel Louis III, in continuità con la marina dei superscafi ormeggiati accanto (e in acqua). In galleria le monoposto toccano i 300 km/h, basta tuttavia qualche passo per l’Auditorium Rainier III, casa dell’Orchestre Philarmonique.

Subito dietro si srotola la curva più lenta di tutte: Loews, Hairpin. O Fairmont, dal nome dell’hotel che la sfiora e che ospita il Nobu, consolidato presidio gastronomico d’oltreoceano. Nella costellazione monegasca di macaron Michelin a sei lobi ne brillano undici: i tre del Louis XV nell’Hôtel de Paris, i due di Blue Bay e di Les Ambassadeurs. E poi il poker La Table, Le Grill, Yoshi, Pavyllon.

La saldatura di ritmi e tempi, slanci, rombi e trilli et similia riverbera anche nel progetto MareTerra, l’estensione con cui Monaco ha deciso di prendersi una manciata di Tirreno nell’Anse du Portier: farà da spartiacque, letteralmente, tra il ponente più denso e il levante del Grimaldi Forum (da segnare in agenda Artmonte-Carlo a luglio) e di Larvotto, rivierasca plage à la page.

Già che ci siamo, una volta per tutte: Monte-Carlo è il nome di una zona, non del territorio che si stende su sette quartieri-rioni. Allons, dunque: un saliscendi lungo le tre corniche (inférieure, moyenne, grande), giocando con geografia e geometrie che contano su una cinquantina, tra ascensori e scale mobili, di ausili a sforzo nullo. Traghettiamo col bateau bus – livrea rossa Ferrari e motore verde (due minuti a zero emissioni) – fino al quai Antoine I dove in queste settimane di primavera, avviate con l’E-Prix e seguite dal Grand Prix Historique, le scuderie affollano i paddock della Formula 1.

Città vecchia e Palazzo dei Principi sulla roccia del Mediterraneo, Monaco, Francia meridionale.

Restiamo tra i portici ché se c’è qualche evento ci si affaccia al Tunnel Riva, rimessaggio reloaded dello storico cantiere navale – un po’ atelier, un po’ galleria sui generis d’alta, altissima gamma – con le suggestioni acqua-asfalto-adrenalina dietro all’altro tornante-totem (la Rascasse), presidiato dall’omonimo bistrot. Ecco la Condamine, l’area commerciale e meno high life, si fa per dire, del centro. Al mercato coperto si liba con pissaladiére (focaccia), socca (farinata), barbagiuàn (frittelle farcite). E bière blonde della Brasserie de Monaco.

La Rocher (rocca) che incombe su un fianco dà il meglio di sé nel tardo pomeriggio quando le quinte nobili si prendono la scena e la statua del monaco guelfo da cui tutto iniziò si fa – a guardarla bene, in controluce e in chiaroscuro – beffarda e sorniona. Prima però il Musée Océanographique, wunderkammer oversize con acquario e tutto il parterre bleu che ci si aspetta. Più il sontuoso salone di rappresentanza in cui l’Ensemble Unisoni ha eseguito arie barocche, performance preceduta da una conferenza della Alice Lucien-Laferrière su imitazione e creazione tra natura e armonie. Printemps des Arts è anche guida all’ascolto, le parole prima dei suoni.

Poi si esce sulla terrazza, da lassù orizzonti e flutti e bagliori marini si dichiarano reali, invitando a salpare. Restiamo su quella terraferma elevata – a luglio per i concerti nel Palais Princier, decennale tradizione in pompa magna – e oltre. In cerca di viste diverse, come quelle intorno e dentro a Villa Paloma: è una delle due sedi del Nouveau Musée National e da oltre un secolo campeggia in un giardino-capolavoro. Si scende e si sale di nuovo, una passeggiata lungo cui ci s’imbatte nel busto di Léo Ferré, irriverente figliol prodig(i)o: sono passati settant’anni dal suo epico concerto all’Opera di Monte-Carlo – coro, orchestra, poesia (‘La chanson du Mal-aimé’ di Apollinaire) – e la sua eco risuona, oggi discreta come l’allure del contesto, però più viva di altre figure en passant. A lui è dedicato anche l’Espace a Fontvieille: eclettismo musicale, altalenante ma di rado banale.

Il festival musicale Printemps des Arts combina compo- sizioni storiche e linguaggi espres- sivi d’avanguardia.

Di traccia in traccia, lungo l’impercettibile confine con la Francia fino alla Fondazione Francis Bacon: segni e memoria del pittore irlandese che qui ha vissuto negli anni ’40 impongono il carotaggio emotivo e filologico in questa bolla di sublime. Villa Sauber, en fin: scrigno Belle Époque, somministra ulteriori dosi di espressività in tandem con Villa Paloma. Resta a questo punto da declinare l’intrattenimento contemplativo nel jet set d’ordinanza allo Sporting, arena del Bal de la Rose e di alcuni eventi del Monte-Carlo Summer Festival. Gli altri vanno in scena tra i velluti dell’Opéra Garnier – non solo lirica, in autunno pure jazz. Ultima mano: Jimmy’z, Buddha Bar, Twiga, Le Bar Américain. Rien ne va plus? Dipende, Deo Juvante.

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