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Digitale formato Italia: intervista alla Country Manager di Google Italia Melissa Ferretti Peretti

Appuntamenti in spazi interattivi, consulenze personalizzate e corsi gratuiti per tendere la mano all’intelligenza artificiale e renderla parte integrante delle proprie attività lavorative. Con questo scopo Google firma il progetto ‘IA per il Made in Italy’, un programma portato avanti per implementare la visione strategica delle nostre Pmi e traghettarle in quello che sarà il futuro del lavoro. L’obiettivo con cui si muove la Big Tech americana è quello di cercare di colmare il gap produttivo di cui soffrono storicamente nel nostro Paese le piccole e medie imprese fornendo loro una visione strategica e, soprattutto, la competenza necessaria per utilizzare questi nuovi strumenti che la tecnologia mette a disposizione.

Per comprendere cosa realmente si può fare con questo strumento e in che modo integrarlo al proprio sistema produttivo Google ha studiato dei casi specifici da mostrare ai partecipanti e ha anche reso disponibile il confronto con alcuni esperti dedicati a valutare le potenziali aree in cui integrare l’AI. Sono moltissime ed eterogenee, infatti, le applicazioni di questo aiuto tecnologico e si differenziano in base ai diversi settori. Si passa dall’analisi delle scorte del magazzino all’ottimizzazione degli ordini fino al miglioramento dell’efficienza e alla creazione di algoritmi dedicati ai tagli nei costi di produzione e ai benefici economici dell’azienda.  “L’AI rappresenta una grande opportunità per le imprese italiane”, sottolinea Melissa Ferretti Peretti, Country manager e Vice president di Google in Italia, dove è arrivata dopo tanti anni in American Express.

L’intervista

Come mai ha deciso di passare a questa realtà?

Google ha questa straordinaria capacità di innovazione e il fatto di avere l’occasione di lavorare in una realtà dove potevo effettivamente avere un ruolo nella trasformazione digitale del mio Paese – che in qualche aspetto ho toccato anche con Amex ma in un modo più specifico e settoriale – mi ha fatto rendere conto che avrei veramente potuto, in qualche modo, fare questo passo con una scalabilità e ad un livello che in un’altra realtà non sarebbe stato possibile. Abbiamo parlato per molti mesi e ciò mi ha portato a conoscerli bene, mi hanno convinto. Durante quel periodo poi ho fatto moltissime domande tanto che, un po’ di tempo dopo, scherzando, l’azienda mi ha detto che sembrava fossi stata io ad intervistare loro. Per me è sempre stato molto importante pensare di fare qualcosa per cui ho passione, mi diverto, imparo, soprattutto se riesco a contribuire al contesto in cui noi viviamo oggi e i nostri figli domani.

Non ha mai pensato di lavorare all’estero?

Attraverso American Express avrei potuto trasferirmi in un altro Paese un milione di volte. In generale poi, nelle aziende con un profilo internazionale puoi prendere questa decisione con grande facilità e, anzi, la tua carriera spesso ne beneficia.
Io però sono sempre voluta rimanere a lavorare in Italia, contribuire in maniera positiva alla crescita del mio Paese. Google, ad esempio, mi ha dato questa possibilità proprio nel momento in cui l’Italia cominciava a dimostrare realmente di essere all’inizio di un grande cambiamento. Abbiamo visto infatti con la pandemia come ci sia stato un enorme salto in avanti dal punto di vista della digitalizzazione e come, nonostante le classifiche come il Digital economy and society index (Desi) che ci vedono ancora al diciottesimo posto su questo fronte si stia andando verso quella direzione.

Qual è la fotografia dell’Italia in questo momento dal punto di vista della digitalizzazione?

Partiamo dal dire che la nostra economia ha una particolarità, che è quella di essere costituita per oltre il 90% da piccole e medie imprese. E tra l’altro, nella maggior parte dei casi addirittura da microimprese con meno di dieci dipendenti o meno di centomila euro di fatturato. E se da una parte questo aspetto è un punto di forza perché grazie ad esso coltiviamo una grande tradizione imprenditoriale che rappresenta anche la qualità e la creatività del nostro Made in Italy, oltre a contribuire a creare un tessuto produttivo più flessibile e se vogliamo più resiliente, dall’altra parte questo stesso tessuto comporta un punto di debolezza. Le piccole e medie imprese infatti hanno sempre avuto maggiore difficoltà a competere con le grandi, soprattutto a livello internazionale, e a fare investimenti a lungo termine nel campo dell’innovazione. Tutto ciò si traduce in un forte ritardo nell’adozione degli strumenti digitali e della trasformazione digitale ma anche, più semplicemente, nelle opportunità che si nascondono nell’adozione dell’export online. Faccio un esempio, un numero che a me ha impressionato durante la pandemia è stato che a marzo 2020 il 75% delle persone in Italia che ha acquistato qualcosa su Internet lo ha fatto per la prima volta.

Un altro elemento veramente importante da sottolineare è che questo aspetto ha chiaramente determinato un ritardo nella crescita della produttività. Le aziende che adottano strumenti digitali esportano di più, fatturano di più e assumono anche di più. E i dati lo confermano. Gli Stati che hanno maggiormente innovato, di fatto, sono quelli che hanno i tassi di disoccupazione più bassi. In Italia la produttività media negli ultimi dieci anni è cresciuta meno che nel resto d’Europa e credo che si faccia molto spesso l’errore di collegare questo tema a quello dei posti di lavoro. Come se a più produttività dovessero corrispondere meno posti di lavoro, mentre in realtà è esattamente l’opposto.

Ancora oggi il mondo del lavoro nel nostro Paese è particolarmente difficile per le donne, come si potrebbe ridurre il gender gap?

Questo è un tema che mi sta molto a cuore. L’Italia è al 79esimo posto del Gender gap report. Praticamente ci troviamo vicino a Kenya, Uganda e Mongolia. Non serve dunque dire che siamo fra gli ultimi per parità di genere in Europa.

La cosa ancora più interessante è vedere però come le donne, al contempo, siano la maggior parte dei laureati del nostro Paese, il 57%, e che soltanto il 42% di queste lavori. Senza sottolineare il fatto che le donne sono pagate meno. È stato calcolato che negli stipendi medi c’è addirittura una differenza salariale che va oltre il 30%, e bisogna anche considerare che le donne in posizioni apicali sono ancora pochissime. In generale questi sono tutti dati che ci dicono che siamo arretrati, che esiste uno spreco di talento e di competenza, ma anche un’opportunità di Pil persa, perché effettivamente con più donne lavorativamente attive aumenterebbe la capacità produttiva, avremmo più persone che hanno reddito e che possono spendere. Io penso che bisognerebbe cercare di promuovere la parità di genere in tutti gli ambiti della vita sociale, economica e politica. Per esempio, andare a investire davvero in politiche di conciliazione vita-lavoro. Troppo spesso, infatti, lo smart working è visto come una concessione che fa l’azienda al lavoratore e non come uno strumento per ottimizzare l’organizzazione interna e consentire alle persone di esprimere al meglio le proprie potenzialità, oltre ad insegnare ai manager a valutare i propri collaboratori in base agli obiettivi dati e non a quanto tempo passano davanti alla scrivania. Altro aspetto essenziale sono i congedi parentali anche per gli uomini. Questa è una cosa che mi ha colpito tantissimo di Google, in azienda noi abbiamo quattro mesi di congedo parentale per i padri che prendono praticamente tutti, una scelta importante a livello culturale perché significa che l’onere delle responsabilità familiari non deve necessariamente pesare soltanto sulle spalle di un genere. Credo esista anche un grande tema di rivoluzione culturale. Servono modelli credibili e serve un’educazione sulla parità di genere per eliminare gli stereotipi che partono fin da piccolissimi. E ci vogliono anche incentivi alla presenza di donne nei ruoli di leadership. Un ultimo punto, secondo me molto rilevante, è quello anche dell’incentivare le ragazze a studiare le materie Stem. In Italia solo due donne su dieci si laureano in questi ambiti e ciò rappresenta un’enorme debolezza, per i lavori del futuro saranno sempre più necessarie competenze di tipo digitale, informatico, tecnologico.

Nella sua esperienza personale ha trovato difficoltà nel mondo del lavoro?

Direi di no. Devo dire la verità, sono cresciuta professionalmente in contesti internazionali e sono stata molto fortunata. La parte più importante della mia carriera si è realizzata in American Express, dove sono riuscita a diventare amministratrice delegata a quarantatré anni, la più giovane che Amex abbia mai avuto. Diciamo però che sicuramente anch’io nel corso della mia carriera qualche preconcetto negativo l’ho scontato. Per esempio, agli inizi avevo un manager che mi torturava per come mi vestivo perché secondo lui il mio abbigliamento non era abbastanza appropriato per un consulente. Ed io mi sono sempre vestita in modo abbastanza morigerato. A volte si sottovaluta la pressione che una donna subisce riguardo a come deve apparire. Soprattutto se si tratta di una donna in posizione apicale. A nessun uomo si evidenzierebbe di essersi messo lo stesso abito in più di un’occasione pubblica mentre noi abbiamo uno scrutinio aggiuntivo. È completamente assurdo, ma è così.

Come si adatta Google al contesto italiano?

Noi riteniamo che la tecnologia debba migliorare la vita delle persone e della società, possibilmente anche implementando le opportunità delle imprese. Per questo motivo l’impegno di Google nel supportare l’economia italiana si sviluppa in molti modi diversi e si dirama attraverso tante attività. Partendo dagli investimenti in infrastrutture (siamo l’unico player globale che ha due regioni cloud in Italia, a Milano e Torino) passiamo attraverso programmi per la formazione delle competenze digitali, fondi per l’innovazione, fino ad arrivare a partnership con attori locali. Ad esempio, sono più di dieci anni che investiamo in questi programmi per migliorare il know-how dei giovani in cerca di primo lavoro e nelle Pmi. In collaborazione con le camere di commercio abbiamo formato più di un milione e mezzo di persone e tra queste tantissime donne. Quest’anno poi abbiamo messo in piedi un ulteriore investimento di un milione e mezzo di euro proprio per continuare in questa direzione. Nel 2020 ne avevamo lanciato un altro da 900 mln di dollari per l’Italia digitale del post Covid. E poi, come dicevo prima, molti progetti e fondi per l’innovazione. Faccio l’esempio solo di alcune cose fatte nel 2023: abbiamo lanciato una challenge per la cybersicurezza e una contro la disinformazione. Quindi per noi lavorare con gli attori locali è molto importante, perché logicamente è essenziale che poi le cose vengano effettivamente applicate e implementate. Credo fortemente che per favorire l’innovazione del Paese sia necessario che si faccia nascere un ecosistema di innovatori nazionali che con il tempo siano in grado di prendere le tecnologie che i grandi innovatori internazionali sviluppano e adattarle ai bisogni delle realtà produttive in cui ci si trova.

 

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