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Fmi, ecco perché l’Italia rallenta. L’incognita Israele sulla crescita

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Perché il Pil italiano rallenta? Innanzitutto, rallentano un po’ tutti, a livello europeo e globale. Ma la spiegazione sulle difficoltà italiane, insieme a delle stime al ribasso per il nostro prodotto interno lordo, l’ha fornita il Fondo Monetario internazionale. L’Fmi indica due cause in particolare: l’indebolimento del settore industriale e il calo degli investimenti nell’edilizia.

Per questo, dopo la revisione al rialzo operata a luglio, secondo il World Economic Outlook presentato a Marrakech, l’Italia crescerà solo dello 0,7% quest’anno, quattro punti in meno rispetto a quanto stimato a luglio ma più o meno sui livelli pubblicati dallo stesso Fmi ad aprile.

L’Italia manterrà lo stesso ritmo anche nel 2024: 0,7%, con un -0,2% rispetto alle precedenti stime, anche se un livello superiore a quanto lo stesso Fmi stimava lo scorso anno, quando parlava di recessione.

Le stime dell’Fmi per il nostro Pil sono più fosche di altre: la Nadef ad esempio parla di un prodotto interno lordo allo 0,8%. Per il 2024, la previsione è dell’1,2%.

Fmi, il rallentamento italiano

Secondo i responsabili delll’ufficio studi dell’Fmi, oltre a un indebolimento del settore industriale e degli investimenti dell’edilizia, c’è anche un indebolimento dei servizi. “Anche se abbiamo visto un primo trimestre forte, nel secondo abbiamo registrato una contrazione e una domanda domestica relativamente debole”, hanno detto gli economisti dell’Fmi sul nostro Paese, che naturalmente tiene in considerazione anche il peso della politica monetaria e dei rialzi dei tassi della Bce, che rendono più difficili le condizioni di finanziamento.

Secondo il capo ufficio studi dell’Fmi Pierre-Olivier Gourinchas, in Italia si vede da una parte l’impulso positivo del Pnrr negli ultimi anni e dall’altra l’indebolimento di costruzioni e manifattura, in un contesto in cui i servizi si indeboliscono a livello globale.Ma c’è anche un ambiente commerciale più debole, secondo il Fondo.

In più, sui Paesi come l’Italia c’è sempre l’ombra del debito pubblico troppo alto. Secondo il Fondo quello italiano arriverà al 143,7% nel 2023 e al 143,2% per poi scendere progressivamente al 140,1% nel 2028.

Per il nostro Paese l’Fmi stima anche una disoccupazione intorno all’8% sia per il 2023 sia per il 2024 e un’inflazione che, dal 6% di quest’anno e dopo l’8,7% del 2022, scenderà al 2,6% il prossimo.

L’inflazione non ha portato particolari benefici alle aziende italiane: come quelle tedesche, nota il report Fmi citando un ‘occasional paper’ della Banca d’Italia, i markup (il rapporto tra prezzi del prodotti e costi) delle aziende non sono aumentati durante il 2022.

Fmi, il rallentamento del mondo

Come l’Italia, anche il resto del mondo rallenta. Soprattutto nel caso dei Paesi avanzati. Il Fondo prevede che il Pil globale segni un +3% nel 2023 e del +2,9% nel 2024, mentre prima stimava un +3%.

Tra le cause del rallentamento il rapporto indica la guerra in Ucraina, la frammentazione dell’economia, la stretta delle banche centrali sull’inflazione, la fine degli aiuti di Stato ma anche gli impatti degli eventi climatici estremi.

Per le economie avanzate, il rallentamento è quello che dal 2,6% del 2022 porta al 1,5% nel 2023 e al l’1,4% nel 2024. Mentre lo slancio americano è più forte del previsto, è la scarsa crescita europea a tirare in giù le stime.

Il dato al centro del report dell’Fmi è naturalmente l’inflazione, il cui andamento determinerà le politiche monetarie delle banche centrali di tutto il mondo. Secondo l’Fmi le condizioni di credito più severe pesano sui mercati immobiliari, sugli investimenti e sull’attività, soprattutto nei Paesi con una quota maggiore di mutui a tasso variabile o dove le famiglie sono meno in grado di attingere ai propri risparmi.

Fmi, l’inflazione e il soft landing

L’aumento dei prezzi continua a rallentare, dal 9,2% nel 2022 al 5,9% quest’anno e al 4,8% nel 2024. E anche l’inflazione core, più resistente di quella complessiva, si sta abbassando. Per questo l’Fmi immagina uno scenario da ‘soft landing’. La traiettoria in discesa dell’inflazione non verrà quindi accompagnata da una contrazione eccessiva dell’economia, anche se questo riguarderà soprattutti gli Stati Uniti, dicono gli economisti di Washington.

L’incognita Israele

Naturalmente le tensioni geopolitiche (e la volatilità dei prezzi delle commodities che possono provocare) giocano una partita a parte: “Ancora è troppo presto” per capite gli effetti sull’economia dal conflitto in Israele e nelle striscia di Gaza, secondo il capo ufficio studi dell’Fmi Pierre-Olivier Gourinchas. Durante la presentazione del report dell’Fmi, Gourinchas ha detto di sperare in una “rapida soluzione” del conflitto, ma per ora è ptroppo presto conoscerne le conseguenze a livello economico.

Sta di fatto che una guerra potrebbe intersecarsi con lo scenario energetico. Lo sta in realtà già facendo, con l’aumento dei prezzi di petrolio e gas sui mercati internazionali.

Hamas fa una carneficina in Israele e fa aumentare i prezzi di petrolio e gas

Corridoi verdi per la transizione

Con una crescita più bassa, tassi di interesse più elevati le riforme strutturali come quelle per la transizione ecologica diventano fondamentali, secondo l’Fmi.

L’appello del Fondo monetario internazionale è quello della creazione di ‘corridoi green’ in cui i paesi proteggano il flusso di minerali critici necessari per la transizione, per ridurre la volatilità e accelerare il processo ecologico.

Accordi simili a quelli che sarebbero necessari per le materie agricole essenziali. In sostanza, “tutti i Paesi dovrebbero mirare a limitare la frammentazione geoeconomica che impedisce progressi congiunti verso obiettivi comuni e lavorare invece per ristabilire la fiducia in quadri multilaterali basati su regole che migliorino la trasparenza e la certezza delle politiche e aiutino a promuovere una prosperità globale condivisa. È essenziale una solida rete di sicurezza finanziaria globale con al centro un FMI ben dotato di risorse”, si legge nell’editoriale di Gourinchas che accompagna il World Economic Outlook.

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