L’ondata di innovazione e investimenti generati dall’AI a Wall Street e in Silicon Valley pare volga al termine. Si tratta inoltre di un’innovazione ‘spazzatura’, secondo il parere dei venture capitalist Paul Kedrosky and Eric Norlin, entrambi partner della SK Ventures. Secondo i due , comunque, proprio nell’AI ci sarebbe la chiave per risolvere il problema della recessione economica americana. Sarà cruciale capire cosa accadrà dopo, aggiungono.
“Stiamo raggiungendo rapidamente i limiti di questa versione dell’AI” scrivono Kedrosky e Norling nella newsletter aziendale, in un post intitolato “L’AI non è abbastanza buona”. I due sostengono che, a un anno dal boom di ChatGPT: “Stiamo rapidamente raggiungendo i limiti di questo tipo di AI anche a causa delle sue inesattezze, visto che spesso utilizza dati obsoleti, imprecisi e riferiti ad ambiti ristretti”.
In maniera un pò provocatoria, i due sostengono che ci troviamo in un momento storico particolare, in cui la tecnologia è al tempo stesso troppo avanzata per non impattare su determinate tipologie di lavori, ma non si è ancora evoluta al punto di garantire reali guadagni in termini di produttività. Secondo loro è in atto una dinamica, che chiamano dei “cuniculi spazio-temporali” che interessa la forza lavoro, e che sta erodendo l’economia. Ritengono che ci sia bisogno di una AI diversa, migliore o anche peggiore dell’attuale che ha generato questa situazione sospesa in cui l’innovazione può appunto causare la perdita di lavoro per molte persone, senza garantire in cambio benefici economici sufficientemente ampi.
L’era della ‘carenza’ cronica
La discussione avviata da SK Ventures si focalizza sul tema che, dal 2020, ha caratterizzato l’economia dell’era pandemica: gli shortage.
C’è carenza di elementi costitutivi e abilitanti per la tecnologia, come microchip, dati di addestramento per AI e modelli linguistici di riferimento. Questo si è tradotto in un aumento dei prezzi, che ha reso più difficile, per aziende e startup, produrre innovazione a costi accessibili. Il prezzo dei microchip, in particolare, è diventato esorbitante. Nvidia è uno dei maggiori produttori e la sua capitalizzazione di mercato ha superato il trilione di dollari nel mese di giugno. Detiene l’80% delle quote di mercato, e propone i suoi chip a un prezzo di partenza di 15.000 dollari, secondo quanto riportato dal NY Times. Secondo Kedrosky and Norlin, finché i costi non si ridurranno, l’innovazione dell’AI continuerà a ristagnare.
C’è poi anche una chiara e ovvia sfida che riguarda i lavoratori: se è vero che la forza lavoro attualmente impiegata dall’economia americana è superiore rispetto al 2020 – quando si è registrata la più grande perdita di occupazione dell’epoca moderna – è altrettanto vero che si farà fatica a raggiungere nuovamente i livelli di occupazione del 2019, per non parlare di quelli del 2007, prima della Grande recessione.
Per capire cosa stia realmente accadendo all’economia, e qual è il ruolo giocato dall’AI, Kedrosky e Norlin usano la metafora dell’onda: mentre molti investitori associano l’AI alla crescita esplosiva di ChatGPT nel 2023, i due esperti sostengono che questa abbia rappresentato invece la fine della prima ondata di AI, che era cominciata nel 2017, l’anno in cui ci fu la pubblicazione del paper ‘L’attenzione è tutto quello che ti serve’, a firma di un gruppo di ricercatori di Goole, che divenne il modello di formazione dei processi alla base dell’intelligenza artificiale. Quest’ondata durerà ancora per un anno o due al massimo, e finirà col calo dei costi su tutta la linea. Perché prenda piede la seconda ondata ci sarà bisogno di nuovi ‘tree of thoght’ – modelli di programmazione con approccio al problem solving – microchip più economici, e l’utilizzo di nuovi modelli di linguaggio che saranno forniti come commodities.
Si comincia a delineare anche un nuovo scenario che farà diminuire i costi di accesso alle infrastrutture di base dell’AI. Amazon ha già reso nota la sua intenzione di sfidare apertamente la posizione dominante di Nvidia nella produzione di microchip, mentre Meta e Alibaba hanno reso disponibili gratuitamente per gli sviluppatori i loro modelli di linguaggio.
Secondo la stima di Kedrosky e Norlin, la nuova epoca dell’AI a basso costo dovrebbe durare fino al 2030, e questo sosterrà l’economia americana, aiutandola ad affrontare gli incombenti cali di produttività, e la sfida di impiegare risorse e lavoratori in possesso delle competenze necessarie per affrontare i lavori del futuro.
L’AI risolverà il problema della contrazione della forza lavoro
Anche se l’AI sta entrando nella nuova fase di sviluppo, la nascita di questa industry segna un tempismo perfetto per risolvere un problema potenziale che le economie, americana e globale, si troveranno a gestire: non avere abbastanza forza lavoro da impiegare. In pratica, la situazione attuale di un mercato del lavoro più rigido potrebbe diventare un dato congiunturale, e non solo un trend momentaneo.
“La forza lavoro degli Stati Uniti è caduta in un tunnel spazio temporale, ed è scomparsa” scrivono Kedrosky e Norlin. I numeri attuali mostrano un appiattimento, dopo anni di crescita costante. Le dimissioni di massa – la Great resignation – causate dalla pandemia, hanno esacerbato questa tendenza. Secondo le stime di Kedrosky e Norlin, se il mercato del lavoro americano avesse continuato il suo percorso di crescita, in linea con il Pil e le tendenze pre-pandemiche, oggi ci sarebbero circa 5 milioni di lavoratori in più. Questa analisi è confermata dal Census Bureau, i cui dati preconizzano un futuro non lontano in cui il numero dei lavoratori attivi sarà inferiore rispetto a quello dei pensionati.
Queste tendenze demografiche, secondo Kedrosky e Norlin, porteranno a un calo drastico della produttività, con aziende del manifatturiero, del retail e dell’health che faticheranno per trovare nuova forza lavoro. E c’è ragione di credere che queste tendenze siano destinate a diventare endemiche. Il tasso della partecipazione della forza lavoro è sotto di circa un punto percentuale rispetto al dato del febbraio 2020, e negli Stati Uniti questo corrisponde a diversi milioni di posti di lavoro in meno.
L’AI deve ancora migliorare
La forza lavoro più costosa del capitale stesso, e quando le economie provano a fronteggiare queste situazioni si rivolgono all’automazione, allo scopo di risolvere il problema della carenza di manodopera. In un recente passato anche Ceo di grandi aziende, come nel caso di Arvind Krishna di Ibm e Eric Schmidt di Google, hanno sottolineato come le tendenze demografiche del mondo sviluppato erano una delle ragioni che sosteneva lo sviluppo dell’AI. Per la prima volta l’innovazione impatterà sui ‘colletti bianchi’, mentre in passato la perdita di posti di lavoro causata dai processi di innovazione, aveva interessato principalmente i lavoratori delle produzioni agricole e industriali.
C’è però un problema: alcuni dei lavori delegati all’AI sono troppo complessi per essere automatizzati, viste le capacità ‘ridotte’ che l’intelligenza artificiale ha sviluppato fino ad ora. “Siamo in un momento di transito, in cui l’AI può causare la perdita di molti posti di lavoro, ma non è ancora in grado di compensare con ampi benefici di produttività”, dicono i venture capitalist.
Il rischio è quello che molti lavoratori perdano il loro impiego, a causa di una tecnologia che è ancora troppo rudimentale per generare guadagni significativi. E questo crea problemi sia ai lavoratori che alle economie. “Non tutte le ondate di innovazione creano un gran numero di nuovi posti di lavoro”, scrivono Kedrosky e Norlin.
Questa specie di innovazione di mezzo, che rimpiazza i lavoratori senza aumentare la produttività, è stata definita “un’automazione così-così”, sulla base di uno studio citato dai due venture capitalist. Un esempio concreto riportato è quello degli operatori di call-center che vengono rimpiazzati dall’AI, che risponde alle domande dei clienti. I lavoratori spesso non sono reimpiegati in una nuova divisione aziendale, perdono semplicemente il lavoro. E i clienti registrano un’esperienza peggiore di customer care, perché spesso il chatbot non è in grado di fornire loro consigli pratici utili e personalizzati. Una situazione che risulta negativa per tutti i soggetti coinvolti. “Questi prodotti e servizi automatizzeranno il lavoro precedentemente svolto dalle persone, ma non contribuiranno alla prosperità del genere umano”.
Un altro venture capitalist, Marc Andreesen, è invece convinto che l’AI poterà benefici alla produttività. “La tecnologia non distrugge i posti di lavoro e non lo farà mai” scrive in un suo post. E aggiunge che anche se l’AI ha tolto lavoro agli umani, questa è comunque una cosa positiva: “Sarebbe una spirale diretta verso una situazione utopica che nè Adam Smith nè Karl Marx avrebbero mai potuto immaginare”, è il commento di Andreseen rispetto all’idea di un mondo in cui l’AI svolga tutto il lavoro.
Un report della società di consulenza McKinsey sembra sostenere la tesi di Andreesen, secondo cui l’AI porterà a una crescita della produttività che, nelle stime della ricerca McKinsey, dovrebbe aumentare fra lo 0,1% e lo 0,6% all’anno fino al 2040. La ricerca ammette però che l’affidabilità di questa proiezione dipende dalla capacità che l’economia avrà di reimpiegare i lavoratori che perdono l’impiego a causa dell’AI.
A complicare la tesi di Kedrosky e Norlin, inoltre, c’è la possibilità che una generazione di lavoratori formata potrebbe sostituire quanti non posseggono quelle competenze. Resta da capire se questa opzione avrà ricadute sulla produttività, visto che i lavoratori più qualificati prendono il posto di quelli meno qualificati, o se verrà piuttosto neutralizzata dalla disoccupazione di massa.
Quello che è certo, secondo i due esperti, è che l’automazione, che non porta “elevati guadagni in termini di produttività”, si traduce poi in “disgregazione economica”, soprattutto quando è difficile trovare lavoratori skillati, come sta avvenendo ora. La prossima ondata di innovazione connessa all’AI sarà fondamentale per aiutare gli Stati Uniti a risolvere l’enorme problema dovuto alla contrazione della forza lavoro. Senza questo ulteriore passaggio, secondo Kedrosky e Norlin, l’economia rischia di essere divorata. “Dobbiamo guardare oltre i limiti dell’attuale tecnologia, se vogliamo liberarci dagli ultimi decenni di automazione e compensare in positivo la forza di attrazione che sta trascinando la forza lavoro degli Stati Uniti in quel tunnel spazio-temporale”.