Ha sconvolto un Paese intero lo stupro di gruppo perpetrato a Palermo da sette ragazzi ai danni di una diciannovenne. Non è un caso isolato: proprio in queste ore è emersa la notizia di una violenza sessuale subita a luglio da due cugine di tredici anni nel Parco Verde di Caivano, nel napoletano. Col professor Claudio Mencacci, psichiatra e presidente della società italiana di neuropsicofarmacologia, abbiamo indagato le dinamiche psicologiche che agitano il branco, l’importanza di educare ai sentimenti e alla gentilezza, e la cultura sessista e patriarcale che troppo spesso porta a colpevolizzare la vittima e a minimizzare, se non a giustificare, gli autori della violenza sessuale.
Qual è il meccanismo psicologico che si instaura nel branco e che induce i suoi membri a compiere azioni che da soli, con ogni probabilità, non commetterebbero?
È un’espressione quanto mai azzeccata: il branco nella nostra cultura indica qualcosa di selvaggio e animalesco. Nel branco avviene un contagio emotivo, che parte dalla stimolazione della parte più animalesca e che sfocia nella sopraffazione e nella prepotenza. Il contagio emotivo è preparatorio all’aggressione sessuale, ma la logica del branco anima allo stesso modo gli episodi di bullismo. Il branco raccoglie di solito individui che sono poco propensi alla riflessione. Ma c’è anche un altro meccanismo che entra in gioco.
Quale?
Nelle dinamiche di gruppo contro una donna si attiva anche il desiderio di mostrare agli altri membri la propria patente di mascolinità. Una mascolinità che si identifica con una sessualità predatoria, violenta, aggressiva, ma soprattutto impersonale. È nell’illusione dell’anonimato, nella possibilità di confondersi col gruppo, che avviene la deindividualizzazione. Da qui, la riduzione o addirittura la totale assenza di senso di responsabilità, in uno spazio in cui tutto è condiviso e diminuiscono timore, inibizione, senso di colpa.
Quanto incide, in episodi del genere, la cultura maschilista ancora troppo diffusa nel nostro Paese?
Il maschilismo si manifesta non solo nella sua violenza più cruda, ma anche in tante piccole soverchierie, ricatti, luoghi comuni, battute fuori luogo, palpeggiamenti. È una questione che riguarda tutti, nessuno se ne può tirare fuori. Qui torna il tema dell’educazione al rispetto e alla dignità dell’altro. E al consenso. Oggi per fortuna sta prendendo piede il messaggio per cui il consenso è dato soltanto dal sì, un sì netto ed esplicitato, e non interpretato, non un silenzio assenso, non una condizione di arrendevolezza. Non possiamo permetterci di tornare indietro a una dimensione animalesca che ci siamo lasciati alle spalle, e che però purtroppo ancora alberga in alcune aree del nostro cervello.
Galimberti parla di educazione ai sentimenti, che consente, tra le altre cose, anche di controllare le proprie pulsioni. È d’accordo?
È proprio così. Serve l’educazione sentimentale, l’educazione agli affetti e soprattutto a riconoscere e sviluppare la gentilezza. I meccanismi violenti del branco derivano proprio da una mancata educazione alla gentilezza, un sentimento che è alla base del rispetto dell’altro. Io credo che se istituissimo un’ora di gentilezza nelle scuole, daremmo ai nostri giovani uno strumento per imparare a rispettare se stessi e gli altri.
Nella società della condivisione digitale incessante, la violenza non è perpetrata solo fisicamente ma anche ripresa col cellulare e divulgata con amici e conoscenti, anche a costo di rappresentare una prova preziosa nelle mani dell’accusa.
Il video diventa in qualche modo la reificazione o la santificazione di quanto sono riusciti a fare. È ciò che lo rende reale. Tutto il resto è copione, per così dire. Un fatto che aumenta ulteriormente la gravità della vicenda. In secondo luogo, da quello che abbiamo letto, il più giovane ha dato ulteriormente prova che non aveva nessuna percezione della gravità dei suoi comportamenti e che ogni cosa andava immolata sull’altare del narcisismo.
Come si eradica il retaggio patriarcale che vede la donna come oggetto utile solo a soddisfare il piacere fisico?
Cominciamo a far sì che quelle soverchierie, quelle piccole violenze, quei ricatti sui posti di lavoro, quei luoghi comuni, diventino oggetto di condanna sociale e non di giustificazione o di banalizzazione. Non ne possiamo più di questa cultura da bar, è avvilente. Questa visione sessista e maschilista, ingloba tante altre visioni: il razzismo, la discriminazione contro le persone che fanno scelte sessuali diverse da quelle più comuni e così via. L’educazione al rispetto e alla tolleranza va impartita sin dalle scuole materne, non possiamo aspettare che i ragazzi arrivino alle superiori, quando sono già formati e soprattutto quando hanno già incominciato a visitare il porno. Se il porno deve essere l’educazione alla sessualità e alle relazioni con le donne, significa che siamo messi male.