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L’Amazzonia secondo Salgado

“Il mio desiderio, con tutto il cuore, con tutta la mia energia, con tutta la passione che possiedo, è che tra 50 anni questa mostra non assomigli a una testimonianza di un mondo perduto”, sono le parole di Sebastião Salgado che introducono al meglio la sua straordinaria mostra fotografica Amazônia, a Milano, (Fabbrica del Vapore, fino al 19 novembre).

Già proposta con successo al MAXXI di Roma, l’esposizione presenta oltre duecento istantanee di questo acuto osservatore del nostro tempo che ha saputo rinnovare la tradizione della grande fotografia di impianto umanista in cui l’interpretazione dà nuova forza alla documentazione, trasformandola in atto militante.

Una ricerca della bellezza, la sua, che nell’affascinare lo sguardo con immagini di straordinaria potenza accompagna a una riflessione e quasi impone una scelta di campo, eludendo il pericolo delle facili forme didascaliche. E questo perché Salgado ben lungi dall’incarnare la figura dell’occasionale professionista dell’impegno socio ambientale è innanzitutto un appassionato e autentico cultore della bellezza, che in quanto tale si sostanzia di varietà, diversità, stupore.

Due i temi portanti della mostra: l’ambientazione paesaggistica e le popolazioni indigene, a sottolineare il rapporto strettissimo, di universale e reciproca dipendenza, che intercorre tra un luogo e quanti vi abitano. Temi, a loro volta, suddivisi in sezioni che affrontano argomenti quali la foresta, con immagini prese dall’alto, i fiumi volanti, fenomeno tanto straordinario quanto poco
conosciuto, legato alla dispersione, nell’aria, dell’acqua degli alberi della foresta pluviale e ancora le tempeste tropicali, le montagne e le sorprendenti isole dai profili instabili che emergono dalle acque del Rio Negro.

Non meno suggestivi sono gli scatti dedicati alle popolazioni amazzoniche, molte delle quali a rischio sparizione, già al centro delle attenzioni di Salgado in numerosi viaggi. Genti simili e diverse che con oltre 188 gruppi (circa 150 lingue) vanno a comporre l’incredibile mosaico etnico dell’Amazzonia, un territorio più esteso dell’intera Comunità Europea. Una straordinaria varietà che contrasta con il declino demografico della maggior parte di esse: la popolazione autoctona attualmente non supera infatti le 370.000 unità, come ha sottolineato Lélia Wanick Salgado, curatrice della mostra. Tra queste, la tribù degli Awà-Guajà, la più minacciata del pianeta che conta ad oggi soltanto 450 membri. Un segnale in controtendenza arriva invece dagli Yawanawà che dopo aver ripreso il controllo del proprio territorio stanno contrastando il pericolo della sparizione con la diffusione della loro cultura.

Novità della tappa milanese della mostra è l’iniziativa Amazònia Touch, il primo volume fotografico, con immagini tattili, concepito e progettato per non vedenti e ipovedenti (edizioni Taschen) grazie alla collaborazione tra Lèila, Sebastião Salgado e la Fondazione Visio, che promuove l’inclusione nelle attività culturali.

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