L’ondata di caldo porta a cercare sollievo in acqua. Ma non mancano i pericoli: ormai quasi ogni giorno sulle pagine dei quotidiani si racconta di un annegamento lungo le nostre coste, nei fiumi, nei canali, nei torrenti o nelle piscine. Fra gli ultimi, l’episodio del lago Du Beo, uno specchio d’acqua gelata in Liguria dove ha perso la vita un giovane di 23 anni. Secondo l’Oms Europa sono circa 20mila l’anno le persone morte per annegamento nel Vecchio Continente, ma in Italia il fenomeno è sottostimato: le notizie riguardano per lo più persone che muoiono nell’acqua o poco dopo essere portate a terra (annegamento primario). Chi arriva in ospedale, ma poi non sopravvive (annegamento secondario), non fa quasi più notizia.
A fare chiarezza è il nuovo Rapporto dell’Osservatorio per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti ed incidenti in acque di balneazione (istituito dal ministero della Salute) a cura di Fulvio Ferrara, Enzo Funari, Dario Giorgio Pezzini dell’Istituto superiore di sanità, in via di pubblicazione. Fortune Italia ha potuto visionare alcuni dati: a fronte di circa 400 morti per annegamento l’anno nel nostro Paese, si contano 60.000 salvataggi. Una buona notizia, se non fosse che il trend degli annegamenti in Italia è rimasto stabile negli ultimi anni. Si può dunque fare di più. Ma cosa?
La punta dell’iceberg
Solo 1 annegamento su 5 arriva agli organi d’informazione, in particolare quando si tratta di un fatto eclatante: un bambino, un giovane, qualcuno che ha uno status sociale elevato.
Dal 2015 al 2019 – si legge in un rapporto diffuso l’anno passato dall’Iss – sono stati identificati e analizzati 2.096 casi di incidente in acqua, fatali (annegamento) o non fatali. Il trend è costante, con circa 3-400 incidenti l’anno, ma negli ultimi anni aumentano quelli nelle acque interne (laghi, fiumi), con un rischio maggiore per gli stranieri residenti nel nostro Paese.
Le acque interne
Non solo fiumi e laghi, ma anche torrenti, canali, bacini artificiali, rogge, cave e stagni: fra il 2016 e il 2021, in questi luoghi si sono registrati in media 78 decessi all’anno, un numero particolarmente alto se si considera che vengono frequentati da un numero limitato di persone.
Il pericolo in mare e in piscina
Gli annegamenti in aree di balneazione – sulle spiagge, nelle piscine, nelle acque interne – sono circa i tre questi del totale. Nell’ultimo report si legge che in Italia ogni anno, a fronte di circa 400 annegamenti (fatali) e di 800 ospedalizzazioni per annegamento, si contano circa 60.000 salvataggi (solo sulle spiagge), e più di 600.000 interventi di prevenzione da parte dei bagnini.
Il trend
In Italia nei primi anni ’70 gli annegamenti erano quasi 1.400 all’anno, scesi a circa 400 l’anno alla fine degli anni ’90. Tra le cause che hanno prodotto la riduzione degli annegamenti in Italia va annoverato l’apprendimento del nuoto, in genere nelle piscine, l’educazione alla sicurezza in acqua della popolazione e la crescente presenza dei bagnini, spiegano i ricercatori.
E adesso? “Molto può essere fatto per ridurre la frequenza di questi eventi drammatici, sia perfezionando la struttura stessa del sistema di salvamento, sia incidendo sulla percezione che si ha del fenomeno”, scrivono gli esperti.
Bandiera gialla o bandiera rossa
Una peculiarità italiana è la mancanza di una normativa nazionale in grado di regolamentare in modo uniforme i servizi che dovrebbero garantire la sicurezza degli utenti sulle spiagge come un compito dello Stato. Un esempio? Il significato della bandiera gialla in Italia varia da regione e regione: in Liguria o in Sardegna indica “vento forte” (col conseguente divieto di aprire gli ombrelloni o di locare natanti); in altre indica invece una riduzione della sorveglianza (un “affievolimento”, come in burocratese recitano le ordinanze), cioè il passaggio da una gestione del servizio incentrato sul singolo stabilimento ad una organizzazione per “settori” che consorziano più stabilimenti limitrofi e allungano il tratto sul quale è competente una postazione di salvataggio. La presenza simultanea delle bandiere rossa e gialla indica, in altre località, l’assenza della sorveglianza.
Malori e impreparazione
Nel periodo considerato (2016 – 2021), ogni anno si sono registrati in media 26 annegamenti di persone che non sanno nuotare, con il 62% dei casi che ha interessato immigrati, e altrettanti per le correnti di ritorno.
Gli annegamenti improvvisi, ossia a causa di un malore, sono in media 58 per stagione balneare, circa 5 per attività sportive e poco meno per caduta in acqua.
A livello territoriale, secondo la mappa presente nel nuovo rapporto dell’Osservatorio, il maggior numero di annegamenti l’anno nelle Regioni con un affaccio sul mare si registra in Emilia Romagna e Toscana.