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Colera in Sardegna dopo mezzo secolo, il caso a Cagliari

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E’ passato mezzo secolo dall’ultima epidemia nella regione, e adesso il colera è tornato in Sardegna. Un pensionato di 71 anni è infatti ricoverato da circa una settimana a Cagliari, nel reparto di Malattie infettive dell’ospedale Santissima Trinità, in condizioni stabili. Il suo caso è all’esame della Asl di Cagliari.

L’uomo si era rivolto inizialmente a una guardia medica di Arbus, nel Sud della regione, per disturbi gastrointestinali. Ora scatterà un protocollo di tracciamento per cercare di ricostruire la catena di contagio.

“Il colera, purtroppo, è ancora presente nel mondo”, dice a Fortune Italia il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi. “La capillarità e la velocità dei trasporti creano difficoltà nell’individuare le maglie di una catena di contagio, legata magari a persone che arrivano da zone dove il colera è endemico. Quindi vediamo l’aspetto positivo: la capacità di aver diagnosticato la malattia e individuato il paziente”. Anche dopo 50 anni di ‘silenzio’.

“Vediamo se anche l’esperienza che abbiamo fatto con Covid-19 ci abbia insegnato a recuperare la capacità dal punto di vista epidemiologico“. Ovvero, quella di ricostruire, come detective, il percorso del patogeno.

Che cos’è il colera

Il colera è un’infezione diarroica acuta causata da un batterio: Vibrio cholerae. La tramissione del vibrione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione. Nel diciannovesimo secolo, ricorda l’Istituto superiore di sanità, il colera si è diffuso più volte dalla sua area originaria attorno al Delta del Gange verso il resto del mondo, dando origine a sei pandemie (per pandemia si intende una manifestazione epidemica di una malattia su larghissima scala, anche planetaria) che hanno ucciso milioni di persone in tutto il mondo. La settima pandemia è ancora in corso: è iniziata nel 1961 in Asia meridionale, raggiungendo poi l’Africa nel 1971 e l’America nel 1991. Oggi la malattia è considerata endemica in molti Paesi e il batterio che la provoca non è ancora stato eliminato dall’ambiente.

I sierogruppi di Vibrio cholerae che possono causare epidemie sono due: il Vibrio cholerae 01 e il Vibrio cholerae 0139. La principale riserva di questi patogeni sono rappresentati dall’uomo e dalle acque, soprattutto quelle salmastre presenti negli estuari, spesso ricchi di alghe e plancton.

Il sierogruppo 01 provoca la maggior parte delle epidemie e, secondo recenti studi, il cambiamento climatico potrebbe favorire la formazione di ambienti adatti alla sua diffusione. Il sierogruppo 0139, invece, è stato identificato nel 1992 in Bangladesh e, per ora, la sua diffusione è stata accertata solo nel Sud-est asiatico. Gli altri gruppi di Vibrio cholerae possono causare deboli forme di diarrea, che però non si sviluppano in vere e proprie epidemie.

L’incubazione e i sintomi

L’incubazione della malattia oscilla tra due e tre giorni ma in casi eccezionali può variare tra 2 ore e 5 giorni, “in funzione del numero di batteri ingeriti”. Nel 75% dei casi le persone infettate non manifestano alcun sintomo. Tra gli altri, solo una piccola parte sviluppa una forma grave della malattia. Quando presente, il sintomo prevalente è la diarrea, acquosa e marrone all’inizio chiara e liquida successivamente (tipico è l’aspetto ad “acqua di riso”). In alcuni soggetti la continua perdita di liquidi può portare alla disidratazione e allo shock, che nei casi più gravi può essere rapidamente fatale. La febbre non è un sintomo prevalente della malattia, mentre possono manifestarsi vomito e crampi alle gambe.

Come si cura il colera

Di fronte a una malattia che colpisce con diarrea e vomito, l’aspetto chiave è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi. Il tutto attraverso soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua. I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei fluidi intravenoso che, soprattutto all’inizio, richiede grandi volumi di liquidi, fino ai 4-6 litri. Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente.

Gli antibiotici, generalmente tetracicline o ciprofloxacina, possono abbreviare il decorso della malattia e ridurre l’intensità dei sintomi e sono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.

Il colera a Napoli

Una delle epidemie più celebri del passato è quella di Napoli: la notizia del colera in città iniziò a diffondersi la sera del 28 agosto. Dopo i primi ricoveri si scatenò il panico tra la popolazione, con il prezzo dei limoni alle stelle e la corsa al vaccino che ha portato al record di un milione di immunizzati in una settimana. Le autorità provvedettero ad iperclorinare le acque dell’acquedotto municipale, proibendo la vendita dei frutti di mare e sequestrandoli nei ristoranti, avviando una campagna straordinaria di raccolta dei rifiuti, pulizia delle strade e disinfestazione dalle mosche.

I sospetti, nel caso dell’epidemia a Napoli, si concentrarono infatti sulle cozze crude. I mitili sono in grado di filtrare tutto ciò che è contenuto nei mari nei quali vivono, ecco perché possono essere fonte di contaminazione batterica.

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