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L’Italia ha sete, di acqua e di giovani: il rapporto Istat

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L’Italia ha sete: di acqua, perché non ce ne è mai stata così poca. E di giovani, perché sono sempre meno, e quelli che ci sono vivono sempre peggio e fanno fatica a creare una famiglia. Tanto che abbiamo toccato il record di Neet: circa 1,7 milioni di giovani, in Italia, non studia, non lavora, non si forma professionalmente. La pagella dell’Italia stilata dall’Istat (il Rapporto annuale presentato oggi) guarda al lungo termine per far capire quanto siano gravi i pericoli che fronteggiamo già oggi. Oltre alla siccità che ha raggiunto livelli record, con la crisi demografica sempre più grave, la popolazione in età da lavoro nel 2041 si ridurrà di oltre il 12%, con una possibile perdita di 3,6 milioni di occupati.

È un circolo vizioso con conseguenze gravissime sul lungo periodo, ma ben radicate nella situazione attuale: per i giovani creare una famiglia “è sempre più un percorso ad ostacoli e negli ultimi decenni si è assistito a un loro costante posticipo”, ha detto il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli alla presentazione del rapporto. “La precarietà e la frammentarietà delle esperienze lavorative e la scarsa mobilità sociale hanno contribuito a compromettere le opportunità di realizzazione delle aspirazioni di una larga parte di giovani e a scoraggiarne la partecipazione attiva, politica, sociale, e culturale”.

“L’accesso a tali opportunità dovrebbe essere garantito a tutti i giovani, a prescindere dal contesto familiare e sociale di provenienza”, aggiunge il presidente dell’Istat: sì, perché il nodo gordiano che l’Italia dovrebbe scogliere non è solo fatto di decadenza ambientale e demografica: la diseguaglianza economica è un freno enorme già nell’Italia di oggi: quasi un terzo degli adulti (tra 25 e 49 anni) a rischio di povertà proviene da genitori che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria. Questo circolo vizioso sta aumentando più che altrove, a confronto con il 2011, dice il report Istat. Gli ultimi dati disponibili sono del 2019 e dicono che il dato italiano è il più alto tra i principali Paesi europei; nell’Ue solo Bulgaria e Romania fanno peggio.

Ecco punto per punto, tutti i problemi più gravi dell’Italia, secondo l’Istat.

La crisi demografica…

Gli effetti dell’invecchiamento della popolazione sono ancora più evidenti: dal 2019 al 2022 ci sono state 27 mila nascite in meno. Un dato dovuto per l’80% alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20% al calo della fecondità.

Mentre abbiamo raggiunto il record di ultracentenari in Italia, l’invecchiamento peggiorerà, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite. Complessivamente, tra il 2021 e il 2050, è attesa una riduzione della popolazione residente in Italia pari a quasi 5 milioni, fino a poco più di 54 milioni e il proseguimento del processo di invecchiamento.

Di seguito, nascite, decessi e saldo naturale tra 2002 e 2022, in valori assoluti.

 

L'età media è salita da 45,7 anni a 46,4 anni tra l'inizio del 2020 e l'inizio del 2023, nonostante l'elevato numero di decessi di questi ultimi tre anni, oltre 2 milioni e 150mila, di cui l'89,7 per cento riguardante persone con più di 65 anni. Nel 2022 inoltre la stima della speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne: solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più.

In Italia, intanto, non ci sono mai stati così tanti ultracentenari: sono 22 mila. È il più alto livello storico, 2.000 in più in un anno.

…e le conseguenze sul lavoro

Come detto, la popolazione in età da lavoro nel 2041 si ridurrà di oltre il 12%, secondo le previsioni dell'Istat, arrivando a 3,6 milioni di occupati in meno. Non è un destino ineluttabile, dice l’Istat, parché va considerato un eventuale aumento dei livelli di occupazione, che potrebbero "compensare la perdita prevista nel numero di occupati e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi".

I tassi di occupazione attuali dell'Ue27 sono superiori a quelli italiani di circa il 9% (il divario nella fascia di età 20-24 anni arriva al 18%): per raggiungerli bisognerebbe ridimensionare quella perdita di occupazione al 2041 di oltre due terzi, passando da 3,6 milioni a 1,1 milioni.

Sul territorio, l'entità della riduzione delle fasce in età di lavoro sarà più rilevante nel Mezzogiorno (in Basilicata la contrazione sarà del 30%), mentre il Centro-Nord sarà favorito dalla dinamica migratoria in ingresso.

L’allarme per i giovani e i Neet

Investendo sul benessere delle nuove generazioni, si può fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato dalla loro maggiore valorizzazione, dice l'Istat.

Ma la situazione attuale non promette bene: gli indicatori relativi al benessere dei giovani sono ai livelli più bassi in Europa. Nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione. PArliamo, cioè, di 4 milioni e 870 mila persone.

Intanto, come detto, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non si forma: il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore ragazze (il 20,5%), residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%), e stranieri (28,8%). Quasi il 38 % dei Neet (629 mila) non cerca lavoro, ma solo il 3,3% dichiara di non avere interesse o bisogno di lavorare. Oltre tre quarti dei Neet vivono presso la famiglia di origine.

Le diseguaglianze

La già citata trappola generazionale riservata a chi è più povero è un problema strutturale e non individuale, dice l’istituto, che cita l'Ocse: "Già a 5 anni provenire da contesti familiari con uno status socio-economico più alto si traduce in un vantaggio di 12 mesi nei livelli di alfabetizzazione emergente, intesa come le capacità di lettura e scrittura che un bambino acquisisce nell'età pre-scolare tra i 2 e i 5 anni".

Secondo l'Istat, "è necessario garantire a tutti bambini fin dalla nascita livelli di benessere che consentano un adeguato livello di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e relazionale". Bisogna, insomma, far uscire i minori dal "circolo vizioso della povertà".

“Le diseguaglianze strutturali continuano a rappresentare un elemento determinante e discriminante nelle opportunità che definiscono il destino sociale delle persone. La forza del legame tra condizioni di vita dei giovani e degli adulti e quelli della famiglia di origine è un problema non solo individuale, ma soprattutto collettivo, visto che in Italia 1,4 milioni di minori crescono in contesti di povertà assoluta".

Ma anche essere italiani significa essere svantaggiati rispetto ai colleghi europei: i nostri salari sono inferiori alla media Ue di 3.700 euro. Tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, la metà rispetto all'Europa. Ed è sceso anche il potere di acquisto, del 2%.

La scuola

L’allarme giovani non si ferma al lavoro, o alla loro capacità di formare una famiglia: il problema parte già dalla scuola. L'incidenza dei Neet, infatti, diminuisce al crescere del titolo di studio: riguarda il 14% dei laureati, ma arriva al 20% per chi ha solo diploma o licenza di terza media.

A scuola il nodo dei tassi d’abbandono ha radici profonde: spesso gli istituti scolastici sono fisicamente difficili da raggiungere. Oltre al fatto che poco meno del 40% degli edifici ha i necessari certificati di sicurezza, nel Sud Italia, il 14,8% delle scuole risulta poco raggiungibile (lo stesso dato è al 7,8% al Centro e al 5,7% al Nord).

Poi c’è la spesa pubblica per la scuola, alla quale dedichiamo il 4,1% del prodotto interno lordo, contro il 5,2 in Francia, e il 4,8% della media dei paesi Ue27.

Tutto questo ha delle conseguenze: nella fascia d’età 18-24, nel 2022 l'11,5% ha abbandonato gli studi senza conseguire un diploma. Gli abbandoni sfiorano il 18% nelle Isole. Tra il 2012 e il 2022, la quota di giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore è cresciuta però del 6% raggiungendo il 78%: siamo ancora 7,4 punti al di sotto della media europea.

Intanto nel 2021 il tasso di espatrio per i laureati di 25-34 anni è pari al 9,5 per mille tra gli uomini e al 6,7 per mille tra le donne. La meta preferita dai giovani laureati italiani è il Regno Unito, che tra 2019 e 2021 ha accolto circa un quarto dei flussi dei giovani espatriati tra i 25 e i 34 anni in possesso di almeno la laurea, seguito da Germania (13%), Francia (9%) e Svizzera (8%). Tra le mete extra europee, gli Stati Uniti hanno accolto il 5% dei giovani laureati italiani. Intanto ci sono giovani qualificati che si spostano dalle province del Mezzogiorno verso quelle del Centro e, soprattutto, del Nord.

Di seguito, il movimento migratorio con l’estero della popolazione residente negli anni tra 2002 e 2022.

Popolazione regionale al 2021 e previsione mediana al 2041, per la classe 0-24 anni (quote sul totale regionale e variazioni percentuali di periodo):

I rischi a breve termine e i segnali positivi

L’Istat segnala il peso, nel 2022, del “forte rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime, accentuato dal conflitto in Ucraina”, che ha condizionato l’evoluzione dell’economia, “con rilevanti aumenti dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie”. E nonostante l’attenuarsi dei prezzi dell’energia, rimane l’inflazione, che condizionerà “l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro”.

Per capire l’impatto della crisi energetica, l’Istat cita un dato: il 25,1% delle famiglie risulta ancora in povertà energetica nonostante i bonus sociali per l'elettricità e il gas. L'ammontare di questi bonus è in media di 992 euro per ogni famiglia che ne beneficia. L'Istat dice che "l'impatto della crescita dei prezzi dei beni energetici è stato relativamente più pesante per le famiglie con più bassi livelli di spesa" e "nel medio periodo il processo di transizione ecologica è destinato a modificare radicalmente le fonti e i prezzi dell'energia e, anche in virtù della sperequazione nell'impatto della variazione dei prezzi energetici, non si può dare per scontato che i costi e i benefici di questo processo siano distribuiti in modo equo".

 

Di seguito, i prezzi (a) dell’energia elettrica (b) nelle maggiori economie europee e nell’Ue27 tra II sem. 2020 e II sem. 2022 (valori assoluti in PPS/kWh):

 

Sull’economia “non mancano, tuttavia, segnali favorevoli”, dice l’istituto. Il Pil dell’Italia è previsto al +1,2% nel 2023 e al +1,1% nel 2024, anche se in rallentamento rispetto al biennio precedente.

Nel 2022 è proseguita la fase di recupero dell’attività produttiva iniziata nel primo trimestre 2021. A fine anno il saldo commerciale è tornato in attivo. “Dati incoraggianti arrivano dal mercato del lavoro, in cui all’aumento degli occupati si è associata la diminuzione dei disoccupati e degli inattivi”.

Nel primo trimestre 2023 "si registra una dinamica congiunturale positiva per il Pil, superiore a quella delle altre economie dell'Unione europea, trainata soprattutto dal settore dei servizi". Ci sono invece "segnali di rallentamento" per la manifattura nel primo trimestre di quest’anno.

La crisi idrica

La crisi climatica ha colputo duramente il nostro Paese, e la disponibilità di acqua in Italia ha raggiunto il suo minimo storico: è il 50% in meno rispetto all'ultimo trentennio. Intanto, lo stato della rete idrica non aiuta: nel 2020, il 42,2% dell'acqua immessa nelle reti di distribuzione dell'acqua potabile non è arrivata agli utenti finali.

Nel 2020 sono andati persi in distribuzione 3,4 miliardi di metri cubi, una quantità di acqua considerevole, che – stimando un consumo di 215 litri per abitante al giorno, pari alla quantità erogata giornalmente nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile – sarebbe suffi ciente a garantire i fabbisogni idrici di oltre 44 milioni di persone per un anno. Secondo il Piano Nazionale di Transizione Ecologica (PTE) 10 , le azioni del PNRR dovrebbero ridurre del 15 per cento le perdite di rete, "ma la messa a regime è prevista entro il 2040", ricorda l'Istat. "La siccità e i problemi di approvvigionamento di acqua hanno influito pesantemente sull'annata agricola appena trascorsa, facendo registrare, nei conti economici nazionali, una riduzione della produzione, del valore aggiunto e dell'occupazione del settore agricolo", dice l’Istat. Le conseguenze per la produzione nel 2022? In flessione coltivazioni (-2,5% in volume), legumi (-17,5%), olio d'oliva (-14,6%), cereali (-13,2%), piante foraggere (-9,9%), ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%).

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