Magistrato, Sostituto procuratore presso la Procura Generale di Napoli e con esperienza nella Direzione distettuale antimafia di Napoli, Catello Maresca ha una lunga esperienza nella lotta alla mafia. Ha partecipato, ad esempio, alle indagini dell’operazione Gomorrah e a quelle che hanno portato all’arresto di Michele Zagaria, boss dei casalesi. Docente di Procedure di contrasto alla criminalità organizzata presso l’Università Luigi Vanvitelli, conosce bene il tema del sequestro e del riutilizzo dei beni di mafia esplorato in questi giorni da una delibera della Corte dei Conti sulla gestione della ANBSC, l’agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Parlando con Fortune Italia, Maresca (nell’immagine in evidenza) conferma: “Il sistema non funziona”, in particolare nel caso in cui i beni sequestrati siano le aziende.
“Sono studi che stiamo facendo anche in università. Da anni cerchiamo di approfondire questa tematica, perché c’è una criticità molto significativa. Sicuramente è un sistema che non funziona. Prevede ancora oggi che le aziende debbano essere amministrate e poi vengano rimesse sul mercato attraverso una procedura che richiede spesso tanto tempo e tanti soldi. La gestione stessa delle aziende è molto onerosa, e a questa non corrisponde un profitto reale per l’aziende né per lo Stato. Se ragioniamo in termini di utilità per lo Stato, dovremmo riuscire a concretizzare quello che lo Stato recupera, dando valore ai beni confiscati”, dice Maresca, che oltre ad essere magistrato è attivo anche politicamente e si è candidato alle ultime elezioni amministrative di Napoli.
L’analisi della Corte dei Conti ha rilevato come il percorso ‘normale’ a cui dovrebbero aspirare le aziende sequestrate, la vendita, sia una strada accidentata: dal 2020 sono 23 le aziende definitivamente confiscate che sono state destinate alla vendita, e solo 3 di queste sono state effettivamente vendute. Non è solo un problema di gestione dell’Agenzia, su cui la Corte ha rilevato comunque delle criticità: molto spesso si tratta di ‘scatole vuote’ destinate puramente a coprire attività criminali.
Ma secondo Maresca “c’è un altro fattore che è significativo e che probabilmente il sistema non riesce a intercettare: le scatole vuote possono esserlo inizialmente o possono diveltarlo. Spesso accade che all’Agenzia resta l’involucro, le ‘quattro mura’, mentre l’azienda è costituita anche da rapporti con i fornitori, con chi poi acquista i beni”. Per questo si dovrebbe impedire che “negli anni gli stessi mafiosi svuotino queste aziende, trasferendo clienti e fornitori”.
Ma c’è anche il tema del mondo creditizio: quando subentra l’amministrazione giudiziaria, “come primo dato assistiamo all’indebolimento finanziario dell’azienda”. Improvvisamente i fidi si bloccano: le fonti di sostegno creditizio e le banche “vengono meno quando le aziende vanno in mano all’amministratore giudiziario”.
Negli anni le proposte di riforma non sono mancate: “All’epoca del governo Renzi fu istituita una commissione con presidente il procuratore Gratteri, e noi partecipammo: è ancora pendente in Parlamento la nostra proposta di riforma”.
Le criticità non sono interamente “colpa dell’agenzia”, dice il magistrato, ma del fatto che non si comprende “che così non si riesce a concretizzare l’obiettivo della normativa antimafia, che è quello di ridare il bene alla collettività. Quindi sosteniamo che sia necessario creare un’agenzia che possa davvero funzionare, anche operando un’attività di gestione patrimoniale e di rapporti centralizzati con le banche: se perdi la fiducia della finanza condanni queste aziende a una vita difficile”.
Tra le raccomandazioni della Corte dei Conti, si legge anche la preoccupazione per i lavoratori coinvolti nel destino delle aziende sequestrate. “Per i lavoratori bisogna distinguere”, dice il magistrato. “Ci sono aziende che sono strutturalmente mafiose ed è complicato, perché non sono disposte a lavorare per un datore di lavoro diverso da quello mafioso. Ma ce ne sono anche altre: abbiamo confiscato supermercati e grandi centri commerciali, tutte attività recuperabili. Il problema poi è regolarizzarne il profilo. L’impatto sui lavoratori naturalmente è significativo. Parliamo di grosse attività. Aziende che contano centinaia di lavoratori”.
Ma l’impatto negativo della chiusura “è allarmante anche se si pensa all’effetto indiretto del messaggio che arriva: spesso quando queste aziende sono costrette a licenziare, ed è lo Stato a farlo, la gente pensa che era meglio quando c’era la mafia. Se passa questo messaggio allora dobbiamo davvero lavorare tanto”.
Se il problema è il riutilizzo dei beni qual è allora il ruolo del terzo settore? “Il terzo settore svolge un ruolo importante, ma bisognerebbe fare un’analisi costi-benefici. Il terzo settore ha una serie di finanziamenti, e giustamente. Però bisogna capire se quei finanziamenti danno i risultati sperati: mi piacerebbe comprendere, al di là del messaggio, qual è il risultato finale”.
Ci sono delle attività che funzionano, dice Maresca, “ma a me piacerebbe capire quanto costano, e se magari fatte in un altro modo sarebbero riuscite meglio: l’impresa è fatta anche di una gestione di natura professionale. In un nostro studio, con l’università Vanvitelli, immaginavamo una forma di collaborazione di impresa anche con Confindustria, che sa come realizzare un’attività profittevole. Ad esempio si deve anche parlare di una distribuzione di utili ai soci, che potrebbe dare un risultato migliore rispetto a un’attività di natura prettamente volontaristica. Ma ben vengano, naturalmente, tutte le attività del terzo settore”, dice Maresca.
Il problema dei dati
Come la Corte dei Conti, Maresca conferma che il problema della pubblicazione dei dati è enorme: avere un’informazione dei beni sequestrati non è semplicissimo. “Alcuni comuni oggettivamente fino a qualche anno fa non sapevano nemmeno quali beni avevano, non sapevano neanche di averli. Il fatto che l’Agenzia non abbia una chiara esposizione di tutti i beni disponibili è un problema. Un albo chiaro e trasparente di tutti i beni secondo me è indispensabile, il primo elemento che l’Agenzia dovrebbe curare, soprattutto se pensiamo che l’agenzia esiste da ormai 13 anni”.
D’altronde, dice il magistrato, “il nemico più grande del riutilizzo dei beni confiscati è il tempo: questo deriva dai procedimenti: molti beni vengono confiscati all’esito del processo penale, e quindi il procedimento è più lungo. La soluzione in questo caso è ragionare sulla destinazione anticipata dei beni: con la sentenza di primo grado, che è già abbastanza stabile, si potrebbe immaginare di destinare subito il bene, dal riutilizzo alla liquidazione. Però questo richiede un intervento normativo, perché i giudici che in astratto ne avrebbero la possibilità lo fanno rarissimamente. Infatti sono forme di assunzioni di responsabilità senza una chiara indicazione normativa. Ci dovrebbe essere una scelta delle norme che inizi a tracciare la destinazione anticipata dei beni. Anche questo è fondamentale per evitare che l’azienda diventi una passività: se devi pagare l’amministratore giudiziario, aprire procedure di fallimento o esaurire tutte le risorse dell’azienda, non hai fatto sicuramente un buon lavoro”.