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ChatGpt, non è tutto oro quel che luccica

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Velasco25 Articolo

Luci e ombre del rivoluzionario strumento creato da OpenAI 

Fino a cinque mesi fa, pur essendo sulla bocca di tutti, l’intelligenza artificiale evocava le magnifiche sorti – progressive per alcuni, regressive per altri – di un futuro tanto prossimo quanto remoto. Da quando nel 1967 lo storico direttore del Media Lab del MIT Marvin Minsky profetizzò che sarebbe stata ottenuta nel giro di un decennio, la conquista dell’AI è parsa sempre dietro un angolo di volta in volta diverso.

L’irruzione sulla scena di ChatGpt, il modello di AI generativa creato dalla startup Californiana OpenAI, ha trasformato quel futuro in presente. Diciamolo chiaramente: ChatGpt rappresenta per l’intelligenza artificiale quello che il Web ha rappresentato per internet.

Di internet si parlava dal 1970, ma la sua diffusione era limitata al settore militare e ai ricercatori delle grandi università. Internet diventa ‘la’ rete nel 1993, quando i contenuti ipertestuali completi di immagini e video furono visualizzati dal primo browser, NCSA-Mosaic, sugli schermi dei Pc di mezzo mondo.

Rilasciato il 30 novembre del 2022, ChatGpt ha battuto un record dopo l’altro. Ha superato un milione di utenti nei cinque giorni successivi al suo lancio. Facebook e Instagram hanno passato la soglia del milione di utenti rispettivamente dopo dieci e due mesi. Nel primo mese di vita, più di duecentocinquanta milioni di utenti hanno visitato chat.openai.com e hanno inserito un prompt nell’interfaccia minimalista di ChatGpt. Secondo le stime di Similarweb, lo scorso febbraio le visite al sito sono state più di un miliardo, registrando una crescita del 62% rispetto al mese precedente.

Così come il suo successo, senza precedenti è quello che ChatGpt riesce a fare. Può rispondere a domande su argomenti di scienza, tecnologia, cultura, sport, politica, economia e altro ancora. Può scrivere codici in diversi linguaggi di programmazione, anche i più oscuri, e lo fa partendo da una sommaria descrizione dell’obiettivo del codice. Anche testi creativi, poesie in rima e testi di canzoni sono alla sua portata. La sua capacità di comprendere e rispondere al linguaggio naturale è a tratti straordinaria, e si ha immediatamente la sensazione di uno strumento con una gamma di applicazioni pratiche pressoché infinita. Documentare le abilità di ChatGpt è un genere letterario che va per la maggiore fra gli utenti di Twitter.

Pappagalli rivoluzionari

Non tutto oro è però quel che luccica. ChatGpt a volte dà risposte errate o senza senso, inventando di sana pianta il contenuto, sempre sintatticamente corretto, di risposte senza nessuna attinenza ai fatti. Questo è uno dei pericoli dei large language model su cui ChatGpt è basato. Questi modelli sono, per dirla alla Emily Bender della Università di Washington, soltanto dei “pappagalli stocastici” che ripetono in maniera un po’ casuale quello che hanno ingurgitato nella fase di addestramento. E il pappagallo non può che restituire un’immagine sfocata del Web – visto che i testi su cui è stato addestrato sono quelli contenuti nell’enorme archivio digitale della rete.

Queste critiche servono da monito a chi si approccia a questi modelli sperando di trovare una qualche forma, seppur artificiale, di ‘intelligenza’. Noam Chomsky, il famoso linguista del MIT, ha ragione quando dice – lo ha fatto in un editoriale sul New York Times – che i modelli sottostanti a ChatGpt siano un esercizio di dubbio valore scientifico e di scarsa utilità all’accrescimento della conoscenza.

Sebbene la critica sia come detto condivisibile, non cambia il fatto che i modelli alla ChatGpt possono avere un impatto rivoluzionario sul mondo. D’altronde Mosaic ha profondamente modificato il nostro modo di comportarci, di acquisire sapere, di relazionarci gli uni con gli altri, indipendentemente della componente tecnica sottostante al funzionamento della rete.

Chi scrive deve già confrontarsi con studenti che interrogano ChatGpt per avere informazioni addizionali sui temi trattati durante le lezioni o, ahimè, per rispondere correttamente alle domande di un esame scritto. Che si voglia o no, ChatGpt e modelli simili avranno effetti difficilmente prevedibili, ma sicuramente dirompenti, sull’istruzione, sul mercato del lavoro e in generale sulla nostra vita di tutti i giorni.

Il business verrà investito dall’onda di ChatGpt che stravolgerà modelli di business e le gerarchie consolidate in tutti settori. Persino Google, l’editore del nostro mondo a tastiere e pixel, non sarà risparmiato se non saprà reagire in modo veloce ed efficace al guanto di sfida che simbolicamente gli è stato lanciato dalla piccola OpenAI. Lo scenario da ‘codice rosso’ che guasta i sonni del management di Google è che una buona parte delle ricerche (sono attualmente circa 80 miliardi al mese) si sposti su ChatGpt. In fin dei conti, l’obiettivo di una quota considerevole delle ricerche su Google non è quello di trovare un sito, ma di ottenere una risposta ad una domanda ben precisa. ChatGpt è proprio pensato per dare risposte alle più svariate domande.

Non è un caso che Microsoft, fra i maggiori finanziatori di OpenAI, abbia stretto un accordo con i creatori di ChatGpt per dotare Bing, il suo motore di ricerca, di una versione di ChatGpt appositamente studiata per complementare le ricerche web. E dire che, fino alla comparsa di ChatGpt, erano i successi di Google nel campo dell’Ai a finire sulle pagine dei giornali. Molti ricorderanno AlphaGo, l’algoritmo creato nel 2017 da DeepMind, società controllata da Google, per giocare a GO che riuscì nell’impresa di sconfiggere uno dei migliori giocatori al mondo.

Nell’estate del 2021 è un altro algoritmo di DeepMind-Google a fare notizia. AlphaFold, che permette di ricostruire la struttura tridimensionale di una proteina a partire dalla sua sequenza di amminoacidi. I biologi di tutto il mondo sono concordi: AlphaFold cambierà il modo di fare scienza, facilitando la creazione di nuovi farmaci e lo sviluppo di nuovi nanomateriali.

Uno potrebbe pensare che a creare ChatGpt non sia stato Google per una errata allocazione di risorse e di focus. Mentre il mondo voleva un’intelligenza artificiale ‘chiacchierona’, Google si preoccupava di far giocare i computer a GO o di predire la struttura 3D delle proteine. In realtà, quello che ha permesso i miglioramenti dei modelli linguistici su cui affondano le radici di ChatGpt è una ‘scoperta’ di Google. Nel 2017 sono proprio i ricercatori di Google, questa volta del team di GoogleBrain, a sviluppare dei nuovi componenti delle reti neurali, i transformer, che si rivelano ideali per creare modelli linguistici complessi. Perché allora non è stata Google la prima azienda a lanciare una chat AI pur avendo sviluppato la necessaria tecnologia? In realtà, Google ha sviluppato una chat con caratteristiche simili e con prestazioni superiori a quella di OpenAI. Questa chat era pronta e funzionante probabilmente prima che ChatGpt fosse concepita, come dimostrato da un articolo scientifico pubblicato nel settembre 2022 dal team di ricercatori.

La concorrenza

Google ha reagito al successo di ChatGpt annunciando il rilascio imminente di Bard, il chatbot basato sulle ricerche di GoogleBrain. Ma il colosso di Cupertino ha sperimentato per la prima volta cosa vuol dire inseguire l’innovazione e cosa comporti essere un colosso. Il lancio di Bard è stato un mezzo fallimento. Alla domanda “Quali sono le nuove scoperte del telescopio spaziale James Webb che posso raccontare a mia figlia di 9 anni?” Bard ha risposto affermando che il telescopio “ha scattato le prime foto di un pianeta al di fuori del nostro sistema solare.” Purtroppo questa informazione è errata: risale infatti al 2004 la prima immagine di un esopianeta ed è stata catturata dal Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo di Monaco di Baviera.

L’errore non è passato inosservato.  A causa dell’errore, il titolo di Alphabet (la società che controlla Google) è crollato in Borsa perdendo quasi l’8%. Di contro, pochissimi osservatori hanno scritto dei molti errori commessi da ChatGpt durante la dimostrazione pubblica della versione usata da Bing: ad una domanda sulla vita notturna di Città del Messico l’AI di OpenAI ha suggerito discoteche e bar inesistenti. Forse perché ad una startup si perdona (quasi) tutto, mentre a un colosso come Google (quasi) nulla o forse perché quando si arriva ‘per secondi’ con un prodotto ‘simile’ le aspettative sono molto difficili da superare.

Le ragioni del ritardo di Google sono da ricercare nell’approccio seguito dai ricercatori di Cupertino nello sviluppo di Bard. GoogleBrain e DeepMind sono dei veri e propri laboratori di ricerca con una forte componente accademica. I gruppi di ricerca di Google sono quelli che hanno pubblicato più lavori nei proceeding della NeurIPS, la più prestigiosa conferenza di AI e Machine learning al mondo. Giganti della ricerca accademica come Stanford e MIT seguono Google in questa speciale classifica. E cosa ci si può aspettare da un gruppo di accademici? Un focus maniacale sulla qualità del modello linguistico e poca, pochissima, enfasi ad essere i primi a rilasciare qualcosa di funzionante. John Hennessy, Chairman di Alphabet ha apertamente confermato che Google ha ritenuto che Bard non fosse veramente pronto per diventare ancora un prodotto.

OpenAI è invece una startup, e come tutte le startup aveva un obiettivo preciso: rilasciare un prodotto prima possibile, nonostante probabili problemi di maturità. Ha avuto per il momento ragione. Ricordiamoci però che Mosaic, rilasciato nel 1993, venne soppiantato nel 1998 da Netscape. E né l’uno né l’altro sono oggi i browser con i quali esploriamo il Web.

 

 

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