Sui probiotici proliferano studi e ricerche. Dai test agli integratori, dai farmaci fino ai batteri ‘buoni’: ecco dove ci porterà questo filone di indagine secondo Michele Guarino, associato di Gastroenterologia al Campus Bio-Medico, sul numero di marzo 2023 di Fortune Italia.
Una delle rivoluzioni della moderna medicina, il microbiota, nasconde una storia antichissima. Potrà sembrare curioso, ma l’Antico Testamento cita più volte il latte fermentato, alimento ricco di probiotici (ovvero microrganismi che si sono dimostrati in grado, se ingeriti in adeguate quantità, di esercitare funzioni benefiche per l’organismo). Nella Genesi il longevo patriarca Abramo lo offre agli emissari del Signore, venuti ad annunciargli che l’anziana moglie Sarah avrà un figlio: “Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono” (Genesi 18.8).
Anche Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C., racconta come le tribù nomadi sapessero ‘trasformare il latte in una sostanza piacevolmente acida’, “raccomandandola per la sua gastrite. Insomma, nel caso dei probiotici le evidenze sono arrivate prima dei risultati della ricerca”, ricorda Michele Guarino, associato di Gastroenterologia al Campus Bio-Medico e responsabile dell’Unità operativa semplice di Disturbi funzionali intestinali e microbiota della Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico. Ma è solo negli ultimi decenni che abbiamo iniziato a comprendere il ‘peso’ del microbiota sulla salute umana.
Mille miliardi di microrganismi
Un tempo era nota come flora batterica. “Parliamo di più di mille miliardi di microrganismi, principalmente batteri ma anche virus, funghi e protozoi, che vivono nel nostro intestino”, precisa Guarino. “Su funghi e protozoi sappiamo ancora poco, mentre abbiamo iniziato a scoprire le caratteristiche della variegata popolazione batterica” che abita dentro di noi. “Oggi la grande sfida consiste nell’ottenere dati di sequenziamento affidabili e riproducibili, ma soprattutto nel tradurre i dati della composizione microbica in informazioni clinicamente utili”, spiega Guarino. Attenzione: sul microbiota è fiorito un business, e lo specialista mette in guarda da test e auto-esami offerti nei laboratori analisi oppure online con formule ‘fai da te’, senza indicazione medica. “Definire un microbiota sano come una sorta di test di screening è molto difficile allo stato attuale. Gli sforzi che facciamo – dice Guarino – sono quelli di stabilire come cambia il microbiota nel corso delle patologie. Avendo individuato alcuni profili caratteristici, possiamo intervenire con probiotici per aiutare il paziente e tornare a un microbiota sano. Spesso però le persone si presentano in ambulatorio con un test fatto senza una richiesta mirata del medico, ma come fosse una sorta di profilo del suo stato di salute. Ecco, dobbiamo dirlo con chiarezza: questo ha un bassissimo valore clinico ed è, in pratica, una perdita di denaro. Prima di richiedere un test del microbiota occorre infatti sapere se il paziente ha patologie, prende farmaci, ha assunto pre o probiotici. Occorre sapere cosa chiedere al microbiologo, altrimenti è difficilissimo dare un significato clinico ai risultati”. Insomma, secondo il gastroenterologo non ha senso fare test del microbiota a caso, spendendo anche diverse centinaia di euro.
Quando gli esami sono utili
“Nel nostro centro il test – racconta – viene sempre preceduto da una valutazione clinica del gastroenterologo e la richiesta viene fatta per pazienti in condizioni particolari”. Quando può essere utile, allora, conoscere la composizione del proprio microbiota? “Nella sindrome dell’intestino irritabile, dove si sa che alla base c’è una condizione di disbiosi, ovvero di mancato equilibrio del microbiota. Abbiamo un profilo definito e sappiamo che un intervento sul piano nutrizionale può avere un senso clinico. Un test – insiste Guarino – è utile se può essere utilizzato per una decisione terapeutica”.
Dal punto di vista della ricerca, in questi anni il microbiota ha rivelato la sua influenza in molte patologie, anche insospettabili: dalla depressione, all’autismo, alle patologie metaboliche. Ma attualmente si interviene su questi microrganismi “principalmente nel caso di malattie gastrointestinali: è il caso della sindrome dell’intestino irritabile, ma anche di alcune malattie infiammatorie intestinali, della celiachia e di diarree acute da agenti virali o batterici, inclusa quella detta ‘del viaggiatore’. Tutte patologie sulle quali abbiamo evidenze”.
I probiotici
Gli studi sul microbiota hanno alimentato anche la ricerca sui probiotici (vedi box a pag. 134). Secondo la definizione ufficiale di Fao (Food and Agricolture Organization) e Oms (Organizzazione mondiale della sanità), si tratta di “organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”. Ebbene, trial clinici hanno validato l’uso dei probiotici come farmaci, ma il problema è che si tratta di “lavori molto eterogenei. Ecco perché, al momento, gli interventi di questo tipo riguardano un gruppo limitato di patologie”.
Trapianto fecale
Negli ultimi anni c’è stato un crescente interesse anche per il trapianto di microbiota fecale, ritenuto un trattamento promettente per una serie di condizioni cliniche. Ma di che si tratta? È un procedimento attraverso il quale le feci prelevate da un individuo sano vengono trasferite nell’intestino di una persona malata. “L’indicazione al trapianto si ha, al momento, nel caso dell’infezione da C. difficile resistente alle convenzionali terapie antibiotiche”, precisa Guarino. Ma sono in corso numerose sperimentazioni. E se il trapianto presenta anche alcune criticità, la ricerca farmaceutica non si è fermata: nel dicembre scorso la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha approvato la prima terapia a base di microbiota fecale – prodotta con i microrganismi isolati da donatori sani – indicata per la prevenzione delle recidive dell’infezione da Clostridioides difficile. “È un po’ come se fosse un trapianto artificiale sintetico”, precisa il gastroenterologo. Il farmaco è stato sviluppato per ridurre i rischi legati al trapianto da donatore.
Il futuro è su misura
La strada sembra segnata. “Si va verso una terapia personalizzata. In futuro – prevede l’esperto – il test del microbiota andrebbe fatto per definire il profilo del singolo paziente e, quindi, poter intervenire con probiotici ad hoc e colmare le lacune trovate nel paziente. Al momento si stanno sviluppando test e supplementi mirati per arrivare a utilizzare le formule più adatte al singolo paziente. In più, si stanno studiando nuovi probiotici: dallo studio del microbiota – dice Guarino – è venuto fuori che esistono alcuni particolari batteri con effetti molto positivi nell’uomo: è il caso di Akkermansia muciniphila e Faecalibacterium prausnitzii. Sono considerati probiotici di nuova generazione: producono acidi grassi a catena corta (buttirrato), e sono associati a una serie di benefici per la salute umana”, dai disturbi metabolici a quelli infiammatori, dalla risposta alle terapie anti-cancro alla neurogegenerazione. Nel gruppo dei ‘batteri amici’ abbiamo anche Lattobacilli e Bifidobatteri, “ma qui sono le evidenze che hanno portato prima all’utilizzo, e poi agli studi per comprendere il meccanismo d’azione”, precisa lo specialista. Nonostante i millenni passati dai tempi di Abramo e del latte fermentato, sembra che abbiamo appena iniziato a scoprire in che modo questi i nostri minuscoli ‘ospiti’ influenzano la salute umana.