“Il trasporto di Roma è una sfida e continuerà ad esserlo, ma i presupposti per rispondere oggi sono sicuramente migliori”. Dalla fine del concordato preventivo a Giubileo e Pnrr, intervista a Giovanni Mottura, presidente Atac (nella foto in evidenza).
Quando Giovanni Mottura è arrivato a guidare Atac come amministratore unico, dopo l’esperienza da liquidatore di Roma Metropolitane, la situazione era, per usare un eufemismo, difficile. La società del tpl capitolino aveva di fronte a sé il lungo cammino del concordato preventivo e un debito da un miliardo e mezzo da ripagare. La pandemia infuriava, andando a colpire l’incasso dei biglietti, cioè più di un terzo del fatturato. Gli autobus di Roma, straordinariamente vecchi, prendevano fuoco con regolarità. Per questo, appena arrivato, Mottura aveva dichiarato che era giusto dare a Roma il tpl che merita. Tre anni dopo, con l’uscita dal concordato raggiunta, in anticipo, a dicembre 2022, ma un trasporto pubblico ancora pieno di problemi, quanto siamo lontani da quell’obiettivo?
“Secondo me ci stiamo avvicinando parecchio. A quella dichiarazione abbiamo fatto seguito con propositi che poi si sono realizzati. Atac era una società in concordato che non aveva ancora erogato 1 euro ai suoi creditori. Il piano era stato già varato, ma doveva essere eseguito. Quindi il fatto di aver terminato a fine 2022 la procedura concordataria – avendo adempiuto al pagamento del 31% per cassa e anche alla promessa di pagare nei prossimi anni il 69% con i dividendi, che non verranno attribuiti al socio (Roma Capitale, ndr) se non dopo aver pagato i creditori – credo sia stato il principio di questo risanamento, perché poi la fiducia di tutti per fare un trasporto pubblico che merita questa città è stata anche in parte già recuperata”.
Qual è stato il momento più difficile di quella procedura? Secondo Mottura, “i primi sei mesi, quando c’era da scegliere se rifare tutto da capo, perché si erano sgretolate alcune certezze, come quella di vendere degli immobili e fare delle plusvalenze, o di avere liquidità in eccesso dalla bigliettazione, che nel pre-Covid era decollata. Bisognava credere che i due anni e mezzo che mancavano all’esecuzione fossero sufficienti per recuperare”. Lo sono stati, racconta Mottura, “grazie all’aiuto di tutta la squadra, anche delle due municipalità, Raggi prima, Gualtieri poi, che nella fase finale ha dato una grossa spinta alla conclusione positiva del concordato”. Ma il concordato non era l’unica sfida da affrontare. “Ce n’erano e ce ne sono tante. Adesso, grazie alla direzione generale di Alberto Zorzan, sono in piedi una serie di progetti che verranno sicuramente realizzati perché sono quelli di infrastruttura”, dice Mottura, perché vanno recuperati “tanti anni di ritardo”.
Atac è davvero una società con una grande libertà di scelta rispetto al passato, ora che si è usciti dal concordato? Mottura dice di sì, ricordando che Atac, nonostante sia una ‘in house’ di Roma Capitale, è comunque una società che “registra un 35% di ricavi dai biglietti”. Come una società privata, quindi, deve “essere efficiente”. Un tema, quello dei biglietti, che periodicamente ritorna nel dibattito sui trasporti romani. A cominciare dalla pandemia, quando “è stato addirittura vietato il ricorso ai controlli. C’è stato un lungo periodo in cui i controlli sono stati eliminati per motivi di salute e di sicurezza”. Ma secondo il presidente Atac ancora oggi “bisogna recuperare un rapporto di fiducia. Bisogna ricominciare a innamorarsi del trasporto pubblico. Questa è la grande sfida. A quel punto il fatto di pagare il biglietto diventerà una conseguenza. Io sono più per una legalità conveniente che per una legalità imposta da sanzioni”.
Affrontare il tema delle competenze, a questo punto, viene quasi naturale: Atac non si è ‘salvata’ da sola. Quali sono state le competenze necessarie nel cammino verso la fine del concordato? “Come amministratore unico mi sono ritrovato nella condizione di incertezza creata da Covid durante il concordato”. A quel punto, serviva lo staff giusto per affrontarla. “L’idea è stata di fare quella che oggi si chiamerebbe una due diligence delle tante cose che si diceva non andassero in un’azienda così complessa, attraverso il ricorso a uno staff di fiducia di consulenti che, con le varie competenze legali, commerciali, di comunicazione, mi sono stati vicini, mi hanno aiutato in questo percorso”. Ma non con l’intenzione di valutare per “sanzionare, perché le persone e le competenze che sono in Atac devono essere valorizzate, sicuramente implementate e anche migliorate in alcuni aspetti, ma le competenze ci sono”. Attraverso la costruzione di una fiducia che “è durata più di sei mesi, abbiamo recuperato la possibilità di parlarci chiaramente e di comprendere che tra la governance e la realizzazione del trasporto in una città grande come questa ci devono essere tante persone che remano dalla stessa parte, che hanno la convinzione di volerlo fare”.
Che ruolo avranno le competenze adesso che, con la fine del concordato, per Atac aumenta la libertà di manovra? “Conteranno sempre di più. La direzione generale ha avuto mandato dal Cda di implementare alcuni ruoli che erano vacanti. Dieci anni fa Atac aveva quasi 100 dirigenti, e oggi ne ha poco più di 30. Alcuni ruoli vanno rafforzati. Questo oggi è il compito della direzione generale”. L’orizzonte temporale, ora, è il 2025. Il Giubileo avrà un significato importante per Atac e per i trasporti romani. “Sicuramente per quella data saranno completati sia i progetti di rinnovamento della flotta di superficie integrale sia l’implementazione verso l’elettrico”, dice Mottura. Deve partire una gara da mezzo miliardo per i tram. “Non ci sarà alcuna possibilità che possa accadere quello che è accaduto in passato, cioè una divaricazione tra il voler fare e il realizzare. Il Pnrr e il Giubileo ne sono la garanzia”.