Bandi di gare deserti e giovani medici che ‘fuggono’ all’estero (e da alcune Specializzazioni). Quattro leve per invertire il fenomeno
Quella della carenza di medici disposti a lavorare nel Sistema sanitario nazionale è una criticità profonda e ben nota che affligge la sanità pubblica del nostro Paese. Burnout, condizioni di lavoro difficili e retribuzioni non adeguate sono solo alcune delle ragioni che allontanano i giovani medici da alcune specializzazioni. Complice un futuro fatto di carriere incerte e di un forte sbilanciamento tra lavoro e vita privata. Il quadro, tuttavia, non è omogeneo per tutte le specialità mediche.
Come spiega Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale di Anaao Assomed, “abbiamo due velocità. Da una parte specializzazioni come gastroenterologia, dermatologia, cardiologia, otorinolaringoiatria e pediatria, ambite dai giovani medici perché offrono l’opportunità di sviluppare anche la libera professione. Dall’altra pochi desiderano intraprendere la strada delle specialità messe a dura prova dalla pandemia, come Emergenza-Urgenza e Anestesiologia, dove si registrano carenze tra il 90 e il 70%. Per chi si specializza in queste branche della medicina, l’unica alternativa al Ssn è entrare a far parte dei cosiddetti ‘medici a gettone’”.
Una situazione molto complessa, che rischia di mettere in serio pericolo la tenuta dei punti di accesso alla sanità pubblica, ovvero i Pronto soccorso. Qui gli accessi inappropriati derivano spesso da una mancata risposta della medicina territoriale alle esigenze di cura dei cittadini.
Quale potrebbe essere la ricetta per rendere nuovamente ‘appealing’ le specialità neglette? “Non certo abolire il numero chiuso a Medicina, come propone una certa politica, né agire sul finanziamento di altri contratti, dal momento che molti posti già non vengono coperti”, commenta Liuzzi. Che propone quattro leve su cui agire: “Aumentare la retribuzione; riconoscere alle specialità di Emergenza Urgenza la connotazione di ‘lavoro usurante’; prevedere uno scudo penale per gli operatori; garantire la rotazione di carriera nell’ambito delle discipline del primo soccorso (triage, osservazione intensiva breve, ecc.)”.
Suggerimenti di cui tenere conto per contrastare anche la fuga all’estero dei medici formati nel nostro Paese. Come ha ricordato il ministro della Salute Orazio Schillaci, nel suo intervento all’inaugurazione dell’Anno accademico dell’Università Cattolica di Roma, “in dieci anni oltre 10.000 medici hanno lasciato l’Italia per lavorare all’estero. Un esodo di capitale umano che non possiamo più permetterci”.