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Confindustria: consumi giù, rischio stagnazione

Frena l’economia italiana proprio mentre sembravano affievolirsi i rischi di recessione. Emergono segnali di sostanziale tenuta del Pil dopo un inverno difficile. Tra il caro-energia e l’inflazione ancora a livelli record, che erode il potere d’acquisto e rallenta i consumi delle famiglie, tra l’industria e le costruzioni in sofferenza, per l’economia italiana aumenta infatti il rischio di stagnazione.

Ad indicare un possibile scenario di stop della crescita in chiusura del 2022 è il Centro studi di Confindustria. Su questo quadro a tinte fosche dipinto dai tecnici di Viale dell’Astronomia per le imprese pesa anche il rialzo dei tassi che la Bce sta portando avanti proprio per cercare di fermare la galoppata dell’inflazione.

L’aumento dei tassi scoraggia gli investimenti

Il balzo dei tassi scoraggia gli investimenti e “zavorra” i bilanci, sottolinea il Csc mettendone in evidenza le ricadute. Già ad ottobre il costo del credito per le imprese italiane si è impennato: 3,14% per le Pmi dall’1,74% di inizio 2022, 2,19% per le grandi dallo 0,76%. Un aggravio che, avverte il Centro studi di Confindustria, “inciderà negativamente sugli investimenti”. Sul fronte della produzione, l’industria intanto accusa il colpo e a fine 2022 risulta in calo, le costruzioni hanno smesso di trainare e tengono solo i servizi.

Mentre l’inflazione alta e persistente frenerà i consumi, che finora sono stati sostenuti dall’extra-risparmio accumulato dalle famiglie, spiega il Csc, sottolineando tra l’altro come ad incidere siano l’incertezza sulle prospettive e il caro-energia, che potrebbe assorbire ulteriore extra-risparmio, riducendo l’impulso sugli altri consumi e “accelerando” la stagnazione. Dalla pandemia il crollo dei consumi, forzato dalle restrizioni anti-Covid, ha generato un aumento senza precedenti del risparmio delle famiglie.

Poxhe le risorse per alimentari i consumi

In particolare, tra il primo trimestre del 2020 e il secondo trimestre del 2022 si calcola un ammontare di extra-risparmio accumulato in Italia di circa 126 miliardi di euro (il 7% del Pil, in linea con la media dell’Eurozona). Tuttavia le risorse che potranno alimentare i consumi sono, di fatto, molto minori di questo ammontare e per tre motivi, spiega il Csc: sono distribuite in maniera diseguale, sono accumulate maggiormente dalle famiglie ad alto reddito; sono state in parte investite e sono erose dall’inflazione, ancora all’11,8% a novembre.

Tutto questo determina complessivamente una perdita di potere d’acquisto di circa 13 miliardi di euro rispetto al totale dell’extra-risparmio. Dunque, di questo ‘tesoretto’ quanto ne resta per la spesa? Tenuto conto dei diversi fattori, la parte di extra-risparmio effettivamente spendibile, sempre secondo la stima del Csc, si ferma a circa 13 miliardi (poco più del 10%).

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