Dalle Langhe all’Etna, passando per le colline toscane, le storie di tre imprenditori del vino che guidano cantine storiche: Paolo Damilano, Giovanni Folonari, Alberto Tasca. Di seguito tre estratti dal numero di Fortune Italia di novembre 2019.
PAOLO DAMILANO – Tra Barolo e acque minerali, piemontesità e diversificazione come marchi d’origine
Di Federico De Cesare Viola
Nel corso di un’intervista a un produttore di vino non è così consueto discutere, oltre che di cru e terroir, anche del servizio e del dritto di Sonego, della produzione di una nuova fiction sui Savoia, di sorgenti alpine e della ricetta tradizionale dei ravioli del plin. Succede invece con Paolo Damilano, proprietario di una delle cantine ultracentenarie delle Langhe ma anche amministratore delegato di Pontevecchio Acque Minerali e presidente della Film Commission Torino Piemonte, tra gli altri incarichi. Un personaggio eclettico e determinato, appassionato e curioso, dal forte spirito industriale: piemontese, cinquantatreenne, dal 1997 è alla guida della Damilano Azienda Agricola srl insieme al fratello Mario e al cugino Guido. Una storia di famiglia che comincia a Barolo nel 1890, quando il bisnonno Giuseppe Borgogno inizia a coltivare e vinificare le uve di proprietà.

GIOVANNI FOLONARI – Dal 2017 a capo delle Tenute Ambrogio e Giovanni Folonari
Di Alessandra Piubello
“Puntiamo su nuovi investimenti, è pronta la programmazione per il triennio”. Siamo con Giovanni Folonari, cinquantacinque anni, dal 2017 a capo delle Tenute Ambrogio e Giovanni Folonari. Ottava generazione di una famiglia che inizia a commercializzare vini ai primi dell’Ottocento. Un percorso imprenditoriale che attraversa due secoli. E che contribuisce a scrivere la storia del vino italiano. Vicende e protagonisti avvincenti, come escono dalle pagine del libro ‘I Folonari: un’antica storia di vini e banche’. “La nostra famiglia – racconta Giovanni dal quartier generale di Tenuta Nozzole – ha saputo anticipare i tempi e attuare piani strategici, mantenendo saldo il rapporto con i clienti. Penso a mio nonno Nino, un bresciano tutto d’un pezzo, gran lavoratore dalle idee brillanti. Negli anni 60 si batte per l’istituzione delle denominazioni del vino, punta alle bottiglie in un periodo in cui esistevano solo i fiaschi, acquista due aziende, Tenuta del Cabreo nel ’67 e Tenuta di Nozzole nel ’71, decidendo di abbandonare la produzione di massa per dedicarsi a una produzione mirata e peculiare”.
ALBERTO TASCA – Il brand Tasca D’Almerita conta cinque tenute in Sicilia, il cuore a Regaleali
Di Francesca Ciancio
“Aver fame. Che non vuol dire desiderare un pezzo di pane, ma impegnarsi al massimo affinché le cose siano fatte bene”. Alberto Tasca sa di essere una persona fortunata, ma da quando ha 23 anni si occupa della sua fortuna con impegno. Il mondo Tasca d’Almerita d’altronde non è mai stato così variegato. Il focus rimane il vino, ma è un corpo che si espande in diverse direzioni. E molto deve alle generazioni che si susseguono e al tempo, che è un fattore chiave per chi si occupa di vitivinicoltura. Parla della fame perché gli chiediamo del suo rapporto con il denaro: “È importante per l’istruzione e la salute e averne un po’ dà sicurezza, ma non ne sono schiavo. Vengo da un’educazione che ha sempre pensato che troppi soldi facessero male e se ne avessi davvero tanti continuerei a investirli nella terra, che è una cosa che mi piace da matti”. Già adesso di terra ce n’è tanta: 600 ettari divisi in cinque tenute, partendo dalla più grande e storica Regaleali, poi Capofaro a Salina (nell’arcipelago delle Eolie), Whitaker a Mozia (in provincia di Trapani), Tascante sull’Etna e Sallier de La Tour nella Doc Monreale.
La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre.
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