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Tutti i numeri dell’economia degli influencer

Nei tempi antichi, quando un’azienda voleva farsi una buona pubblicità acquistava spazi sui giornali o costosi spot televisivi. Oggi, però, la comunicazione è cambiata, e dal momento che piattaforme come Instagram, Facebook e YouTube giocano un ruolo sempre più rilevante nel determinare come le persone parlano, impiegano il tempo e prendono decisioni, il marketing si è dovuto adeguare. Spostandosi sui social. L’economia degli influencer, ovvero il giro d’affari intorno agli account di vip, blogger e “socialite” cresce esponenzialmente, e per le aziende prestare attenzione ai trend che circolano sulle piattaforme sociali è diventato irrinunciabile. Secondo un report dell’agenzia Mediakix, che ha analizzato il flusso dei post sponsorizzati nell’ultimo anno, l’influencer marketing ha raggiunto nel 2017 – solo su Instagram – un valore di un miliardo di dollari, che dovrebbe raddoppiare nel 2019. L’investimento totale in marketing social – quello dei post etichettati con l’hashtag #ad per intenderci – può arrivare a valere, secondo Mediakix, dai 5 ai 10 miliardi di dollari nel 2020.

Il social che fa la parte del leone in questa economia è Instagram. Tra il 2016 e il 2017 la piattaforma ha avuto una crescita enorme, arrivando a oltre 813 milioni di utenti a marzo 2018 (+36% rispetto all’anno precedente), grazie all’introduzione di alcune nuove features: è il social che attualmente cresce di più e quello che meglio si presta per pubblicizzare prodotti e aziende. Un ambiente in cui convivono influencer di nicchia e superstar da milioni di follower, in cui c’è chi si fa “pagare” con doni e chi è invece allo stadio successivo, e per un post stipula contratti.

Il report “The state of influencer marketing”, elaborato da Klear, offre tutti i numeri del fenomeno: nel 2017 sono stati 1.504.383 i post su Instagram taggati con l’hashtag #ad, con una crescita del 198% rispetto all’anno precedente. Le aziende che stringono più accordi con gli influencer sono quelle dei settori moda e beauty, con una stragrande prevalenza di donne tra gli influencer: l’83,9% dei post #ad sono stati pubblicati da account femminili. Dagli Usa proviene la maggioranza dei contenuti sponsorizzati (49%) seguiti da Regno Unito (9%), Germania e Italia (entrambe 5%). Negli Usa, dove si condividono di più “sponsored content”, gli hashtag più comuni per “avvisare” gli utenti della pubblicità sono #ad, #sponsored, #spon, o #sp. Il 2017 è stato il primo anno in cui la Federal Trade Commission ha richiamato apertamente vip e celebrità – quindi singole persone, e non solo aziende – a chiarire in modo trasparente la propria relazione con i brand nei propri post, per evitare pubblicità camuffate. In altri paesi, come ad esempio l’Italia, le normative sul settore sono ancora blande.

I fattori di novità da tenere in mente quando si parla di economia degli influencer sono due. Il primo è che la sponsorizzazione è sempre di più una vera e propria partnership: se prima alle fashion blogger bastava regalare un abito o una borsa, oggi la pratica di scambiare un po’ di pubblicità con i regali ha lasciato il passo a collaborazioni più strutturate, soprattutto per questioni di trasparenza. Il secondo fattore è la credibilità. La credibilità di una partnership tra un influencer e un brand è essenziale affinché l’influencer continui ad essere a sua volta credibile agli occhi dei propri follower. Il Roi, cioè il ritorno sull’investimento, che le aziende hanno da una sponsorizzazione social, non si quantifica solo con le vendite, anzi, potremmo dire che non è il fine immediato. Sui social la correlazione tradizionale tra pubblicità e vendita non è così lineare. Le intenzioni di una azienda che punta su un influencer possono essere varie: lo fa per cambiare l’approccio dei consumatori su un prodotto, per coinvolgere un nuovo target di pubblico, per raccontare una storia che non viene percepita immediatamente come una campagna pubblicitaria. In altre parole, il fine non è vendere quella determinata borsa o quel paio di scarpe indossate nel post, ma piuttosto instaurare con i follower una relazione più ampia che comprenda il brand a 360 gradi. E che alla fine, naturalmente, lo porti a vendere, magari attraverso un clic direttamente dalla piattaforma social.

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