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Nfl, futuro finanziario incerto per la più ricca lega Usa

La palla ovale in fase discendente. Il campionato di football americano che parte a breve – match inaugurale tra i campioni in carica, i Philadelphia Eagles, contro gli Atlanta Falcons – è avvolto dalla bufera mediatica per la scelta di Nike, sponsor tecnico della lega, di piazzare il viso e la capigliatura afro di Colin Kaepernick sulla pubblicità per il trentennale della linea Just do it, una delle più incisive della multinazionale con lo swoosh. Un colosso, forse il colosso dello sport degli ultimi 30 anni, schierato apertamente contro la lega – che negli ultimi due anni ha praticamente fatto terra bruciata intorno a Kaepernick, l’uomo in ginocchio durante l’inno nazionale, in polemica contro le violenze sulla comunità afro della polizia statunitense, rimasto senza contratto a meno di 30 anni, dopo aver raggiunto il Superbowl con San Francisco – e contro Donald Trump (furioso per il caso Nike), che aveva esortato via Twitter i proprietari delle franchigie a liberarsi degli atleti in ginocchio durante l’esecuzione dell’inno.

E dunque Nfl al centro del quadrato, con copertine e aperture dei tg sportivi cucite addosso, un danno d’immagine notevole, considerando il calo di popolarità registrato negli ultimi mesi, con la campagna pubblicitaria di Nike che raccoglie consensi, approvata anche da icone dello sport a stelle e strisce, come Lebron James e Serena Williams.

E questa vicenda, assieme al rapporto causa-effetto sempre più evidente tra i colpi al collo e al viso subiti in campo dagli atleti e i casi di CTE (encefalopatia traumatica cronica), con la fuga dei più giovani da caschetto, divisa e paradenti, produce qualche incertezza sul futuro finanziario della Lega più ricca degli Stati Uniti, seconda nel mondo (14 miliardi di dollari di introiti nel 2017) solo alla Champions League. Perché negli Stati Uniti gli sponsor, che nel recente passato facevano la fila per piazzare il logo in uno breve spot durante una partita in tv, oppure all’interno degli stadi, quando il sistema inizia a far acqua (è accaduto in passato a totem come Tiger Woods e Michael Phelps, abbandonati dopo gli scandali personali) tendono a scappare per non accumulare perdite.

In aggiunta, dal punto di vista sportivo, ci sono gli insuccessi delle ultime stagioni di franchigie-icone come i New York Giants, San Francisco 49ers e Chicago Bears, che hanno allontanato da stadi e tv tanti appassionati. Soprattutto dalla tv: gli ascolti sono calati del 10% nell’ultima stagione e il Superbowl 2018 ha fatto registrare l’audience più basso dal 2009. E gli analisti prevedono un’altra significativa discesa nella stagione al via (come confermato da alcuni sondaggi), con gli appassionati di football che poco hanno gradito il caso mediatico intorno all’inno. Insomma, investire nella Nfl paradossalmente ora conviene meno rispetto ad altri campionati che conoscono solo la via dell’opulenza, come la Nba oppure la Mlb. Certo, il valore medio di una franchigia resta inarrivabile, intorno ai 2,5 milioni di dollari. Ma il mercato è in discesa. Per l’acquisto dei Carolina Panthers, nel corso del 2018, il filantropo e re degli hedge fund David Tepper ha sborsato 2,2 miliardi di dollari, meno del valore medio di una società, mentre il prezzo stimato di vendita era intorno ai 2,8 miliardi di dollari.

E trattative al ribasso sono previste anche per la prossima cessione del pacchetto azionario di altre franchigie, come i Denver Broncos, Tennessee Titans. Insomma, una serie di battute d’arresto, non ancora una crisi. Tenendo conto del fiume di dollari che arriva dalle tv (28 miliardi di dollari in nove anni, accordo siglato nel 2011), con Facebook, Verizon, Amazon pronte a sedersi al tavolo con offerte superiori. E senza dimenticare il serbatoio da miliardi di dollari, ora non più solo potenziale, dalle scommesse legalizzate: la Nba è in vantaggio, ha già stretto accordi commerciali con casinò di Las Vegas. Ma la Nfl da qualche giorno ha fatto concesso a casinò e agenzie di betting di utilizzare il suo marchio in campagne pubblicitarie.

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