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Jaguar Land Rover, Italia importante ma serve elettrico

“L’Italia per il nostro gruppo è il quarto mercato per importanza, viene prima di molti altri mercati con volumi maggiori, come quello tedesco per esempio”. Daniele Maver, classe 1957, laurea in economia e dal 1984 manager nel settore automobilistico, da maggio 2007 è presidente di Jaguar Land Rover Italia. Per il quarto anno consecutivo Maver ha portato la casa automobilistica inglese al Salone del Mobile di Milano, per presentare il nuovo prodotto nato in casa Land Rover, il Range Rover SV Coupé. “Per noi partecipare alla Design Week è fondamentale: ricerche di mercato fatte sui nostri clienti ci dicono che la principale ragione per cui scelgono le nostre auto è proprio il design, l’estetica”, dice Maver intervistato da Fortune Italia. E aggiunge: “Per le altre case d’automobili spesso tecnologia e ingegneristica sono un vincolo: in Jaguar Land Rover è il contrario. Il nostro designer, forse anche in modo orgoglioso, vuole perseguire questo obiettivo di creare auto che siano belle e alla moda”.

Dottor Maver, Lei ha sottolineato che l’Italia è il quarto mercato per importanza all’interno del vostro gruppo. Quali sono gli investimenti previsti nel nostro paese?

“Come detto, continueremo a puntare sul design all’avanguardia dei nostri modelli perché abbiamo notato che agli italiani piace ciò che è bello. Di investimenti specifici non ne abbiamo in programma, anche se certamente punteremo ad ampliare la rete dei 114 attuali punti di assistenza – di cui 85 sono punti vendita mentre gli altri sono officine autorizzate – nelle aree del paese in cui siamo meno forti. Peraltro, in Italia stiamo cercando tecnici meccanici, ne vorremmo assumere circa 50 ma stiamo avendo difficoltà a trovarli. Per esempio, l’anno scorso abbiamo risolto il problema facendo 20 giorni di formazione finalizzata ai nostri prodotti. Per noi è un investimento importante, sia perché vogliamo tenere alta la qualità sia perché in futuro avremo sempre più bisogno di tecnici ultraformati”.

Negli scorsi mesi avete annunciato, per l’anno 2018/2019, la ‘rivoluzione elettrica’. Come si traduce questo impegno in Italia?

“Sì questo è uno degli obiettivi posti nel piano globale del gruppo Jaguar Land Rover. Da luglio metteremo sul mercato I-Pace, la nostra prima vettura completamente elettrica. Che sarà diversa rispetto al concetto finora espresso da altre case automobilistiche: non un’auto piccola come si è soliti vedere in giro, ma una vettura confortevole, con una batteria di 90 kilowatt e 450 kilometri di autonomia. Dal 2020 saranno circa 20 mila gli esemplari di I-Pace che entreranno a far parte della flotta. È chiaro che questo prodotto verrà distribuito anche in Italia, dove però devo constatare che c’è ancora molta reticenza verso il prodotto elettrico: da noi solo lo 0,1 per centro degli automobilisti ha scelto di comprare una vettura elettrica, mentre in Norvegia, ad esempio, siamo al 20 per cento. Però confidiamo anche nella collaborazione con altre società, come Enel, che nel 2018 installerà 2700 colonnine di ricarica”.

Purtroppo però, come molte altre aziende dell’automotive, anche Jaguar Land Rover – che nel 2008 è stata rilevata dal gruppo indiano Tata Motors – ha subito una battuta d’arresto. Infatti nelle scorse settimane avete detto che in Inghilterra, vostra terra natìa e uno dei principali mercati per voi, dovrete tagliare mille posti di lavoro. C’entra la Brexit?

“In realtà la decisione di tagliare mille posti di lavoro in Inghilterra ha poco a che fare con la Brexit: è stata una scelta antecedente il referendum del 23 giugno 2016. Ciò che ha portato a maturare questa necessità è stata la contrazione del mercato inglese, dove noi abbiamo perso circa il 12 per cento delle vendite. I consumatori inglesi sono poi sì incerti sul futuro, e questo per noi ovviamente vuol dire tanto in termini di business plan e investimenti futuri”.

A questo punto la domanda è d’obbligo: dove sposterete la produzione? Avete pensato anche all’Italia per aprire una delle vostre fabbriche?

“Dopo varie valutazioni abbiamo deciso di aprire una fabbrica in Slovacchia. Tra le opzioni considerate c’era anche l’Italia ma, purtroppo, vuoi per il costo del lavoro ridotto che per altri motivi di management, abbiamo optato per la Slovacchia. Ma ci tengo a dire che è stata una scelta arrivata prima del referendum sulla Brexit”.

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