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Marchionne e la politica: distacco e rispetto

Sono stati in molti, oggi, a fare un minuto di silenzio per Sergio Marchionne. Il mondo della politica si è fermato per 60 secondi come simbolo del rispetto per l’imprenditore illuminato che “ha mostrato al mondo le capacità e la creatività delle realtà manifatturiere del nostro Paese”, afferma il presidente Sergio Mattarella. Un manager “che ha fatto tanto e avrebbe potuto fare ancora molto”, afferma il vicepremier Matteo Salvini. Un uomo che “ha rappresentato l’Italia migliore: quella operosa e concreta, seria e preparata, dotata di visione e capace di guardare al futuro”, afferma Silvio Berlusconi. Marchionne in politica non ci è mai voluto entrare, perché “io faccio il metalmeccanico”, diceva. Ma il rispetto e la stima per il lavoro dell’uomo che ha salvato la Fiat, non conosceva partiti, e arrivava ben oltre i confini nazionali.

Le foto con Barak Obama nella fabbrica di Detroit della Chrysler e, qualche anno dopo, l’appoggio a Donald Trump nella sua politica sui dazi che “non sono la fine del mondo”. Ma anche la luna di miele, durante il varo del Jobs Act, con Matteo Renzi, finita poi con una frase al fulmicotone: “Quel Renzi che appoggiavo non l’ho visto da un po’ di tempo”. Il rapporto tra Sergio Marchionne è la politica è sempre stato dialettico. Cordiale e nel contempo distaccato. “Siamo sempre stati filo governativi”, ammette nel 2014 ad un Salone di Ginevra. Questo significa essere attento al bene dell’azienda ma mai prono. Pronto a sottolineare le idee comuni ma senza nascondere i distinguo. Insomma, sempre disponibile al dialogo, ma senza evitare un confronto duro – talvolta lo scontro – se necessario. Di certo Marchionne non ha amato la politica politicante, quella che insegue le parole più che i fatti. Ed è sempre rifuggito alla tentazione delle candidature. ”Io in politica? Scherziamo? Faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori”, diceva ironico ai giornalisti che lo incalzavano.

Nel tracciare relazioni con i politici ha sempre avuto un fiuto incredibile. Di Monti, ad esempio, ha detto: ”Ho massima fiducia nell’uomo, se non ce la fa lui non ce la fa nessuno”. Con Berlusconi, invece, non sono mancate stoccate: ha guerreggiato per avere incentivi per la rottamazione delle auto. Dal tavolo che ne discuteva ad un certo punto ha minacciato di andar via…il premier raccontava barzellette mentre “io ho lavoro da fare”. Ma quelli sono gli anni della trasformazione degli stabilimenti Fiat, dell’uscita da Confindustria, delle polemiche con la Fiom. “Appoggiamo Marchionne”, dice Berlusconi che incontra l’Ad Fiat che chiede di “modernizzare le regole” e “governabilità delle fabbriche” per migliorare i “livelli di produttività”. Già durante la premiership di Berlusconi si affaccia un deciso feeling con Renzi, allora sindaco di Firenze: ”Io sono dalla parte di Marchionne. Dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono”. Ma poi Marchionne tocca Firenze e c’è un battibecco. ”Ho sentito dire – ribatte il sindaco – ad una signora al mercato di Firenze: noi abbiamo fatto il Rinascimento, lui ha fatto la Duna”. Dopo però la sintonia prosegue, senza se e senza ma, durante gli anni di governo del Centro-sinistra. Gli scambi degli apprezzamenti sono moltissimi. ”Spero che Renzi tenga duro. Vada avanti”. “Attaccano Marchionne per far carriera”.

Il manager Fca arriva a fare un endorsement nel marzo 2016: ”Se me lo chiedete, in Italia voterei Renzi”. Ma poi qualcosa si rompe. Nel novembre 2017 Renzi sollecita: “Fca rispetti impegni su investimenti e lavoro”. Due mesi dopo la risposta da Detroit: “‘Renzi mi è sempre piaciuto come persona. Quello che è successo a Renzi non lo capisco. Quel Renzi che appoggiavo non l’ho visto da un po’ di tempo”. “Io dico che non lo vedo perché non sono più premier – è la controreplica – Non è che vado a cena con lui ma con gli amici del calcetto di Pontassieve”. Ora lo scenario politico è cambiato. Ci sono la Lega e il Movimento 5 Stelle con cui ha polemizzato sull’auto elettrica. Il giudizio, in questo caso, suona come un distaccato lasciapassare di chi ne ha viste tante. “Salvini e Di Maio non li conosco, non mi spaventano. Paura del M5S? Ne abbiamo passate di peggio”.

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