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Industria, il fatturato cresce del 5,8% nel 2017

Un “risveglio da non sprecare” e una base per fronteggiare “le prime nubi dense in arrivo sui mercati internazionali”. Così l’area studi di Mediobanca definisce i dati sulla industria italiana, il cui fatturato è aumentato, nel 2017, del 5,8%. E tra le italiane un ruolo di spicco continua ad averlo Fca, che la banca definisce come “l’arbitro del futuro manifatturiero italiano”. I numeri sono stati diffusi nella 56esima edizione di ‘Dati cumulativi di 2075 società italiane’, il tradizionale studio sui bilanci delle aziende oltre i 50 dipendenti, distribuito per la prima volta nel 1962 come allegato della relazione di bilancio di Piazzetta Cuccia.

Le 2075 società italiane esaminate da Medio Banca rappresentano il 50% del fatturato industriale e di quello manifatturiero italiano, il 37% di quello dei trasporti e il 41% della distribuzione al dettaglio, secondo l’Istat. Sono incluse tutte le aziende italiane con oltre 500 dipendenti e circa il 20% di quelle di medie dimensioni oltre i 50 addetti. Fatto 100 il fatturato aggregato di fine 2017, il 20% è relativo a 153 imprese controllate dalla pubblica amministrazione, il 47% a 1365 imprese controllate da privati italiani e il 33% è riferito a 557 società che fanno capo a soggetti stranieri.

Secondo lo studio, le esportazioni sono salite del 7,1% e il mercato domestico ha segnato un rialzo del 5,2%, una velocità che “non si vedeva dal 2010-2011 dopo cinque anni di cali ininterrotti”. Rispetto al 2008 il fatturato aggregato dell’industria italiana è sotto dello 0,8%, il mercato interno del 10,4% mentre le esportazioni sono salite del 25,8%. Il ‘risveglio’ del 2017 ha interessato tutti i comparti, dalle imprese pubbliche (+6,7%) a quelle private (+5,6%) e a controllo estero (+4%). Sono cresciuti soprattutto l’industria (+6,6%) e la manifattura (+6,1%), un po’ meno invece il terziario (+3,2%). All’interno del comparto manifatturiero hanno fatto progressi sia le grandi imprese (+6,9%), sia quelle medio-grandi (+6,8%) e medie (+6,6%) e con loro tutto il Made in Italy (+4,6%). Quasi tutti i settori merceologici hanno guadagnato quote di fatturato nel 2017, con tre sole eccezioni: l’emittenza Tv (-1,9%), per minori entrate da canone e calo degli abbonamenti, l’editoria (-3,3%) e, soprattutto, le imprese di costruzione (-3,5%), in flessione per il secondo anno consecutivo dopo l’esaurimento delle grandi commesse in Italia e all’estero.

Un quadro in deciso miglioramento rispetto al 2016, quando erano 11 i settori in regresso sul 2015. Tra i campioni del 2017 c’è la metallurgia (+17,9% sul 2016), il comparto petrolifero (+11,4%), l’industria della carta (+9,2%), le pelli e il cuoio (+9%), l’impiantistica (+8,7%), i mezzi di trasporto (+7,2%), i trasporti (+7,1%), la gomma e i cavi (+6,9%), la chimica (+6,8%) e l’energia (+6,2%). In crescita per il secondo anno consecutivo le telecomunicazioni (+1,6%) dopo sette anni di arretramenti. In confronto al 2008 i settori più brillanti sono stati quello delle pelli e del cuoio (+52,5%), le utility di acqua, igiene ambientale, aeroporti e autostrade (+33,2%), i mezzi di trasporto (+29,9%), le bevande (+29,2%), il conserviero (+28,1%), i trasporti (+22,6%) e la Gdo, soprattutto non alimentare e discount (+21,8%). I peggiori sono invece l’editoria (-42,1%), i prodotti per l’edilizia (-36,5%), il petrolifero (-35,6%), l’impiantistico (-23,5%) e le Tlc (-22,7%).

Nonostante valgano un decimo del fatturato complessivo dei rispettivi gruppi, le attività italiane di Fca e di Cnh sono ancora determinanti per l’industria italiana. Senza il loro apporto, l’aumento del 15% di fatturato tra 2008 e 2017 nella grande manifattura si trasformerebbe in un calo del 7,7%. Quanto all’occupazione, il calo dei dipendenti segnato dalla manifattura nel periodo è del 6,7%, ma senza l’ex Lingotto, che oggi conta 81mila dipendenti, come nel 2013, sarebbe dell’11,6%. In pratica le attività italiane di Fca e Cnh hanno visto crescere il fatturato nazionale del 39,2% tra il 2008 e il 2017, hanno visto calare i dipendenti dell’1,3% a fronte di un valore aggiunto per dipendente salito del 32,9% e di un costo del lavoro per dipendente in rialzo del 25,2%. In definitiva, secondo Mediobanca, Fca rimane “l’arbitro del futuro manifatturiero italiano”.

“La strada è ancora lunga”, secondo Medio Banca, per quanto riguarda redditività e occupazione, dove non si è ancora a regime. Il margine operativo netto (Mon) è ancora sotto dell’11,6%, mentre gli addetti sono il 3,7% in meno del 2008. In termini di margini industriali le aziende pubbliche sono sotto del 15,9%, quelle le private del 10,1% e il terziario del 32,4%. A ridurre lo scompenso interviene la manifattura, i cui margini sono cresciuti in 9 anni del 26,5%, grazie all’apporto delle medie imprese (+23,5%), di quelle medio-grandi (+23,3%) e di quelle maggiori (+80,8%). A fine 2017 l’industria vanta il 73,3% di imprese in ‘investment grade’ (+11,2% sul 2008), con i settori dell’alta (84%) e medio-alta tecnologia (77,5%) ai vertici, meno brillanti invece quelli a a medio-bassa (71,7%) e bassa tecnologia (70,5%). Gli investimenti sono cresciuti del 6,4% sulla media del quadriennio precedente (2013-2016), con la manifattura in testa (+14,6%) e il terziario di nuovo vitale (+6,5%) dopo anni di stasi.

Intanto i gruppi esteri attivi in Italia realizzano un fatturato di 221 miliardi di euro, pari a un terzo del totale nazionale. Le maggiori aziende sono 557 ed il maggior contributi proviene dalla Francia, con 60,1 miliardi di euro, che da sola vale il 27,2% dei ricavi. Seguono gli Usa (38,8 mld, pari al 17,6%), la Germania (26,5 mld, 12%), il Regno Unito (21 mld, 9,5%) e la Svizzera (12,2 mld, 5,5%). Le aziende straniere in Italia, tra cui Tim, considerata di fatto in mani francesi, hanno investito nel 2017 10,9 miliardi di euro contro i 18,5 miliardi delle società a controllo italiano. Pagano stipendi maggiori del 10% e hanno una produttività superiore del 12,5 per cento. Sono più efficienti e dunque competitive nel settore chimico-farmaceutico e nella meccanica, sono alla pari con quelle italiane nell’alimentare, mentre hanno prestazioni inferiori nei beni per la persona e la casa.

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