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Autostrade, Camaiora: su Genova comunicazione sbagliata

Comunicazione sbagliata, senza alcuna capacità di gestire un situazione di crisi grave. Andrea Camaiora, Ceo dello studio di comunicazione strategica The Skill, e docente di litigation pr, crisis e comunicazione trasparente all’Università di Roma Tor Vergata e alla Business School del Sole 24 Ore, analizza le conseguenze del piano di comunicazione adottato da Autostrade Per l’Italia in seguito al tragico crollo del Ponte Morandi di Genova.

Qual è il suo giudizio sulla gestione della comunicazione di crisi da parte di Autostrade per l’Italia, in occasione del crollo del ponte Morandi?

“Il fallimento della struttura di comunicazione di Autostrade per l’Italia (Aspi) è stata sotto gli occhi di tutti, esperti o meno esperti, fin da subito. Basti pensare alla scelta di emettere due comunicati: il primo, freddo oltre ogni aspettativa, e il secondo, a distanza di tempo, di cordoglio. Non vi era alcuna ragione per effettuare questa scelta: entrambi i comunicati erano assai brevi ma certamente gli organi di informazione non avrebbero censurato parti di un comunicato più lungo di Autostrade per l’Italia in un momento del genere! Ciò che ha stupito maggiormente, purtroppo negativamente, gli addetti ai lavori, gli esperti di comunicazione di crisi, è che una società con le caratteristiche e le dimensioni di Aspi abbia potuto non dimostrarsi in alcun modo all’altezza di un caso di crisi, quando per un’azienda del genere la gestione della crisi dovrebbe essere la normalità e soprattutto il primo fattore da prendere in considerazione. Nel primo comunicato di Aspi vengono scritte una serie di informazioni che minano da subito l’attendibilità della fonte: si minimizza dicendo che è caduto ‘solo’ una ‘parte’ del ponte. Si spiega che il ponte è ‘risalente agli anni ‘60’ e dunque seguendo questa informazione ci dovremmo preoccupare della gran parte dei viadotti in Italia, per non parlare di chi si azzarda a percorrere i ponti di epoca romana! Infine, il tono dei comunicati, anche del secondo di cordoglio, con la ‘brillante’ idea di trasmettere un’idea di fondo: a prescindere dal punto di vista, non è colpa nostra se il ponte è crollato. E che dire dei social network? Il primo post sulla pagina Facebook aziendale è di quasi cinque ore successivo al crollo ed è comunque, incredibilmente, non quello di cordoglio ma ancora una volta quello tecnico. Per non parlare del fatto che il comunicato di cordoglio è mescolato a una nota di aggiornamento sugli incontri istituzionali e tecnici. Che senso ha annacquare ulteriormente la manifestazione per la partecipazione al dolore dei familiari delle vittime? È evidente, insomma, che i comunicatori di Aspi non erano in alcun modo attrezzati e preparati ad affrontare una situazione del genere. Per questo ritengo che la loro impreparazione sia superata solo dalla superficialità con la quale il management di un’azienda attiva nel settore delle infrastrutture e dei trasporti non ha ritenuto di dotarsi di un’adeguatamente professionalizzata struttura di crisis communication e management e di esperti in litigation pr capaci di mediare, al momento della diffusione delle prime note stampa, tra le esigenze della comunicazione e quelle dei legali, che come sempre in questi casi si sono imposti producendo un danno enorme all’azienda”.

Spesso l’attività di comunicazione di aziende e grandi gruppi viene condotta dai legali, risultando inefficace o, in alcuni casi, dannosa. In che modo si potrebbe evitare un processo simile?

“È ormai almeno un secolo, a prescindere dalla nostra maggiore o minore consapevolezza, che le vicende giudiziarie interagiscono con quelle della comunicazione e informazione. Chi non vuole vedere l’elefante in cristalleria è libero di farlo ma ne pagherà tutte le conseguenze. Sempre più spesso enormi danni di immagine sono prodotti da una condotta comunicativa dettata in modo cieco da eccellenti avvocati. Il risultato è che gli imputati sono assolti ma la loro immagine e reputazione è distrutta, spesso irrimediabilmente. Un grande avvocato, anche di vecchia scuola e dunque poco incline a comunicare, può accettare invece di comprendere che esiste un foro esterno e uno interno della vicenda giudiziaria e che entrambi meritano di essere curati, purché la comunicazione non danneggi mai la tutela in ambito legale o processuale. Ciò dipende anzitutto se il comunicatore è autorevole e percepito dai legali come un esperto del loro settore. Si può trasferire bene all’opinione pubblica, ai media e agli interlocutori istituzionali in primis la magistratura, lo si può fare empaticamente e con tempistiche compatibili con i mezzi di informazione se la struttura di comunicazione è in grado di ‘tradurre’ avvocatese e tecnicismi vari in tempi stretti e senza storpiare il messaggio stesso. La comunicazione può, infine, essere efficace e determinata, senza aggredire la magistratura e gli altri interlocutori ma anzi, assai spesso, contribuendo a trasferire stati d’animo, reali intendimenti, volontà di collaborare, assai più rapidamente che non attendendo le memorie prodotte dai legali o, peggio, le occasioni che il sistema giudiziario e amministrativo offrono ai soggetti interessati”.

La tragedia di Genova sembra aver innescato una pericolosa spirale, sollevando forti dubbi sulla sicurezza di numerose altre infrastrutture del Paese.

“Esattamente. La pessima gestione della crisi da parte di Aspi sta provocando un ‘effetto valanga’ con la messa in dubbio dell’affidabilità di tenuta di tutti i ponti, tunnel e infrastrutture in Italia e l’apertura di una serie di contestazioni nei confronti di Autostrade sia da parte degli enti locali (con la ben nota quanto odiosa pratica di estenuanti conferenze di servizi) sia da parte dell’autorità giudiziaria. Contemporaneamente assisteremo al sorgere di comitati per la salute di questa o quell’opera, animati da personaggi in cerca di autore (nonché di gloria, notorietà e, perché no, elezione da qualche parte) con una sindrome Nimby (Not in my back yard) che si diffonderà ancora di più in un Paese, l’Italia, nel quale è già fortissima. Le cronache locali dei giornali e i social network saranno invasi, già nei prossimi giorni e nelle prossime ore, da questi “esperti” di infrastrutture e genio civile della porta accanto che si faranno strada secondo la regola del chi la spara più grossa. Questo ha già prodotto un primo ‘costo’ per l’azienda che si è dotata di una serie di comunicatori più attrezzati, abituati a gestire situazioni del genere, poi studi legali di grande peso, ma in aggiunta Aspi affronterà lo stillicidio quotidiano della miriade di piccole interviste, articoletti, denunce su quotidiani locali e online che denunceranno la pericolosità anche delle infrastrutture più sicure. Il costo per l’azienda lieviterà enormemente perché ogni impegno di verifica – ovviamente in contraddittorio col ministero delle infrastrutture (MIT) – e ogni intervento di ristrutturazione o rafforzamento delle opere esistenti non potrà essere condotto certamente, dopo quanto accaduto a Genova, con la logica del minimo indispensabile. E quindi, a maggior ragione, il costo della cattiva comunicazione di crisi si ripresenterà con interessi da usura nei confronti di Aspi”.

Quali saranno le ricadute per gli altri operatori coinvolti, direttamente o indirettamente, nell’accaduto?

“L’effetto valanga non risparmierà anche gli altri grandi operatori: da Anas a Rfi, da Trenitalia ad Alitalia. Sarà bene che chi tra questi grandi operatori ancora non si è dotato di esperti di crisi e comunicazione in vicende mediatico giudiziarie corra rapidamente ai ripari. Al primo deragliamento, alla prima frattura o frana, al primo serio problema tecnico, il fantasma del ponte Morandi si riaffaccerà all’attenzione dell’opinione pubblica e sarà unanimemente considerato come un’aggravante dell’accaduto. Vanno quindi immediatamente mappate tutte le ipotesi di rischi connessi all’attività dei grandi operatori del settore dei trasporti, correre immediatamente al riparo, in tempi strettissimi, per ridurre la probabilità del rischio conosciuto e predisporre protocolli di intervento congiunto tra parte tecnica e comunicatori per ridurre al minimo l’impatto della crisi ed evitare che, come per le compagnia crocieristica Costa e Aspi, la gestione del dramma peggiori persino l’entità del dramma stesso. È veramente il caso di mutuare uno slogan pubblicitario, ‘prevenire è meglio che curare’, e capire anche in Italia, il Paese delle crisi continue, ripetute, perseverate, che occorre agire d’anticipo.

Rispetto all’evoluzione della crisi e alle successive fasi della comunicazione cosa pensa della linea tenuta da Aspi?

“Quanto a Genova, l’AD di Autostrade, Castellucci, ha detto che la società è in grado di dotare Genova di un moderno ponte in acciaio in appena otto mesi, ma ha specificato che tale tempo è “a valle delle autorizzazioni”. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere: dopo quel che è successo, inizierà il valzer delle richieste di studi, approfondimenti, sondaggi, valutazioni e richieste pareri per non assumersi la responsabilità di approvare il progetto di Autostrade, mentre Genova resterà isolata, il Porto perderà operatori e progressivamente posti di lavoro, la Liguria risulterà drammaticamente spezzata in due e ciò senza veder partire il sempre più indispensabile progetto della Gronda. Questo però non è colpa di Aspi ma di una nazione, la nostra, in cui né la classe politica né il suo apparato amministrativo burocratico tende ad assumersi le responsabilità, spesso per paura che una decisione venga contestata dalla magistratura”.

Sul fronte politico, come valuta le posizioni adottate dal governo in merito alla questione?

La battaglia di parte del governo per chiedere la revoca della concessione in mano ai Benetton, citati per portare avanti la battaglia della personalizzazione della società, ha fatto crescere il consenso nei confronti dell’esecutivo e dei suoi leader più rappresentativi, Salvini e Di Maio, plasticamente raffigurato negli applausi ai funerali di Stato. A breve si capirà che nazionalizzare o rimettere a bando la gestione di 3.000 chilometri di autostrade porterebbe a rischi ancor più gravi (oltre al pagamento di una penale), quindi si lascerà la concessione ai Benetton ma rivedendo le condizioni e tentandone un addomesticamento. Ciò sarà sufficiente per dimostrare agli elettori che la nuova politica finalmente supera la soggezione nei confronti dei potentati economici e imprenditoriali. Per contro, però, e anche questo era ampiamente prevedibile, Aspi è passata al contrattacco mettendo lei in stato di accusa le continue esternazioni dei principali esponenti del governo: il ministro Toninelli con la lettera di contestazione ufficiale e le parole dei ministri Di Maio e Salvini. Ed è già tanto, o forse un poco curioso, che ancora non sia emersa alcuna ipotesi di aggiotaggio intorno al disastro del ponte Morandi. La Consob da parte sua ha acceso il faro già dal 14 agosto sulle forti oscillazioni della capogruppo di Aspi, Atlantia, che in otto giorni ha perso circa 5,5 miliardi di capitalizzazione. La società, controllata al 30% dalla famiglia Benetton, ha perso in una settimana più di un quarto del valore, passando da oltre 20 miliardi a circa 15. La ‘nuova’ comunicazione di Aspi-Atlantia è più efficace. Fa passare su tutti gli organi di informazione che le perdite non sono solo per i Benetton ma per tutti gli azionisti, che Atlantia è pronta a trattare ma quando nell’esecutivo si capirà quale linea intendono assumere: quella di Giorgetti-Lega o di Di Maio e Cinque Stelle? Parallelamente alle ipotesi di iniziative legali della società per le enormi perdite proprie e degli azionisti, si è aperta la trattativa sugli indennizzi ma la partita non è ancora iniziata realmente e molto dipenderà anche dalle reali intenzioni della famiglia Benetton che ha fatto sapere a mezzo stampa, ma senza dichiararlo direttamente, che potrebbe ‘tranquillamente’ cedere Aspi con tanto di debiti allo Stato e rimanere con un nocciolo rappresentato da una miriade di partecipazioni, con le autostrade spagnole e margini di circa il 47%. Siamo nel pieno della ‘ fase’ della comunicazione ma i professionisti del settore dovranno lavorare, come sempre in questi casi, pensando già alla terza fase, quella del ritorno alla normalità”.

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