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Luca Ferrari racconta Bending Spoons, la tech italiana da mezzo miliardo di utenti

Luca Ferrari Bending Spoons

Luca Ferrari, classe 1985, è il cofondatore e Ceo di Bending Spoons, la tech italiana con mezzo miliardo di utenti, specializzata nello sviluppo e commercializzazione di app per smartphone. Tutto appare normale nel racconto di questo giovane imprenditore che spiega come si possa trasformare una startup in un unicorno da oltre due miliardi e mezzo di valore. “Abbiamo seguito una strategia efficace e investito tanto per costruire un team di persone fantastiche e una cultura aziendale rivolta alla collaborazione. Negli ultimi undici anni abbiamo lavorato come dei matti, un pizzico di fortuna ci ha aiutato”.

Ingegnere Luca Ferrari, è vero che lei si sente come il bambino con il capo rasato e l’abito da monaco buddista che nel film ‘Matrix’ piega i cucchiai con la forza della mente? Bending Spoons, in effetti, significa ‘piegare i cucchiai’.

Non mi sento come quel bambino, anche se per me è fonte d’ispirazione: ha coltivato la potenzialità della propria mente, con impegno e disciplina, riuscendo a fare qualcosa che in genere si ritiene impossibile, ossia piegare un cucchiaio senza toccarlo. A Bending Spoons crediamo nel potere della mente e lavoriamo per usarla sempre meglio, a servizio di obiettivi ambiziosi. Il nome della società l’ha proposto Matteo Danieli, uno dei miei soci fondatori, proprio ispirandosi al film.

Di recente avete acquisito Meetup, resa celebre in Italia dal M5S che la utilizzava agli esordi per organizzare gli incontri degli attivisti. Perché?

Abbiamo creato una piattaforma di tecnologie, competenze, talenti e cultura aziendale ottimizzata per sviluppare e far crescere al meglio prodotti tecnologici digitali. Acquisiamo prodotti che riteniamo abbiano un potenziale ancora inespresso e, grazie alla nostra piattaforma, cerchiamo di realizzare appieno questo potenziale. Reinvestiamo poi i proventi per rafforzare la piattaforma ed effettuare acquisizioni ancora più grandi e stimolanti. Meetup è solo una di una serie di acquisizioni di questo tipo.

Remini, editor di immagini con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, e Splice, per i video, sono tra le vostre app di maggiore successo a livello di utenti. Qual è la sua preferita?

Non monto video, quindi scelgo Remini.

A parte occuparsi di Bending Spoons, ha qualche hobby lontano dai byte?

Mi piace leggere, leggo anche quaranta, cinquanta libri l’anno, e non solo di tecnologia. Spazio dalla storia alla fisica, dall’economia alla psicologia.

È vero che è vegano?

Sì, è una scelta che ho fatto anni fa con la mia compagna, in primis per evitare di infliggere crudeltà agli animali. E poi c’è la questione climatica: l’industria dei prodotti di origine animale è uno dei contributori principali alle emissioni di gas con effetto serra.

Qual è la morning routine di un imprenditore tech?

Persone diverse hanno routine diverse. Nel mio caso, mi alzo intorno alle 7, passo qualche momento con la mia compagna e i miei cani, mi alleno per circa tre quarti d’ora, faccio colazione mentre ascolto un audiolibro e, verso le 9, mi metto al lavoro.

Durante la pandemia da Covid, avete sviluppato, per il Governo, l’app Immuni che non ha funzionato secondo le aspettative. Tornando indietro,
lo rifarebbe?

Credo di sì. Fare Immuni ci è costato moltissimo: abbiamo dedicato a questa impresa un terzo dell’azienda per mesi, completamente gratis, mettendo in pausa importanti progetti commerciali e ci siamo presi anche tante critiche. Sebbene il progetto si sia rivelato inefficace, spero che il nostro esempio di senso civico sia stato d’ispirazione per molti. Se questo è il caso, credo sia valsa la pena di fare Immuni.

Chi è per lei una ‘inspirational figure’?

Mi piace Benjamin Franklin. Creativo e imprenditoriale, ambizioso e pragmatico, Franklin si è cimentato con successo in molti ambiti, inclusa l’editoria, la scrittura, la ricerca scientifica e la politica.

Nel mondo di oggi spicca la figura di Elon Musk, un disruptor che divide ma sa anche realizzare imprese mirabolanti.

Penso che Musk sia il più grande imprenditore della sua generazione. Come tutti, anche lui ha aspetti più o meno apprezzabili, ma c’è sicuramente molto da imparare dal suo esempio.

Lei ha detto che gli investimenti pubblici non sono la chiave per stimolare l’imprenditoria e l’innovazione. Gli ‘animal spirits’ hanno bisogno di meno Stato?

A mio parere, i due fattori più importanti per stimolare l’imprenditoria sono la presenza locale di competenze all’avanguardia ed esempi virtuosi, fonte d’ispirazione. Entrambi i fattori si sviluppano quando emergono dei campioni imprenditoriali locali e, da questi, una serie di ulteriori aziende ambiziose e competenti. Gli investimenti pubblici aiutano, ma non sono un fattore chiave. Al contrario, per favorire lo sviluppo economico, secondo me lo Stato deve cercare di ridurre la propria presenza e semplificare il più possibile le regole.

Da Copenaghen, dove lei ha conseguito la seconda laurea in Ingegneria, avete deciso di basare la società a Milano. Perché?

Puntavamo e continuiamo a puntare a costruire una delle aziende più importanti della nostra generazione, a livello mondiale. Poco dopo aver fondato Bending Spoons in Danimarca, abbiamo realizzato che, qualora Bending Spoons fosse diventata un successo, averla costruita con radici in un paese come l’Italia, che ha così tanto potenziale inespresso, avrebbe avuto un impatto maggiore che farlo dalla Danimarca, che ha un’economia
più florida. Come dicevo prima, servono campioni imprenditoriali locali. Mi auguro che Bending Spoons possa esserlo per molti anni.

I vostri dati finanziari sono espressi in dollari. Dobbiamo aspettarci la quotazione al Nasdaq?

Gli Usa sono il nostro mercato principale dal punto di vista sia dell’utenza che dei ricavi. Per questo abbiamo scelto di usare il dollaro americano come valuta di riferimento. Non ci sono piani concreti per una quotazione, al momento.

Lei non è figlio d’arte, i suoi genitori sono una coppia di parrucchieri di Settimo di Pescantina, frazione di un piccolo comune nel Veronese. Quando ha pensato: “da grande voglio diventare un imprenditore digitale?”

Da ragazzino non avevo idea di cosa volesse dire essere un imprenditore. In campagna non si parlava di queste cose. Però sognavo di costruire qualcosa di grande. Il concetto d’imprenditoria l’ho scoperto all’università, ispirato da studenti che mi hanno aiutato ad ampliare le mie vedute. Ciò che mi esalta è contribuire a un progetto ambizioso e positivo, affrontando e risolvendo problemi difficili e lavorando con persone fantastiche lungo il percorso. Per me, la tecnologia è uno strumento per risolvere problemi, è un mezzo e non un fine.

Che pensa degli influencer? Dopo il caso di Chiara Ferragni e della finta beneficenza, è sembrato di assistere alla caduta degli dei.

Non commento.

L’Italia è un Paese per giovani?

Non quanto potrebbe e dovrebbe essere. Mediamente, in Italia siamo tradizionalisti, avversi al cambiamento. È fondamentale che miglioriamo da questo punto di vista, se vogliamo avere un futuro radioso. Diversamente, i Paesi volti all’innovazione ci mangeranno in testa, non c’è isolazionismo che tenga.

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