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Car-T: la fabbrica delle cellule della speranza in Olanda

Design innovativo e anima green, con un’attenzione maniacale a igiene e sicurezza. Siamo entrati nello stabilimento a pochi chilometri da Amsterdam dove vengono ingegnerizzate le Car-T per la terapia personalizzata dei tumori.

Sono racchiuse nei ‘funghi blu’ le cellule della speranza prodotte nel cuore d’Europa e destinate a pazienti di mezzo mondo. In contenitori bassi e tondi, che assicurano una temperatura costante a -180 gradi °C, sono infatti conservate le cellule Car-T ingegnerizzate ad hoc, destinate al trattamento personalizzato e ‘one shot’ di alcuni tipi di tumore. Cellule preziose, che per i pazienti rappresentano spesso l’ultima chance contro la malattia. “Lo stabilimento è stato costruito in 2 anni”, ci racconta durante la nostra visita Karen Vink, direttore Public Affairs di Kite, azienda biotech acquisita da Gilead nel 2017, forte di circa 4.000 dipendenti nel mondo e con un solo focus: curare il cancro.
Non è un caso che il sito produttivo di Hoofddorp, a pochi chilometri da Amsterdam, si affacci sull’aeroporto di Schiphol: da qui partono voli per tutte le destinazioni raggiunte dai ‘funghi blu’. Nel sito l’azienda produce due terapie Car-T approvate finora per cinque indicazioni terapeutiche, tutti in terza linea, “con oltre 21.300 pazienti trattati nel mondo”. Numeri impressionanti, ancor più se pensiamo che, quando lo stabilimento è stato costruito, mancavano ancora le autorizzazioni per l’utilizzo di queste terapie.

Un sito produttivo green e modulare
Lo stabilimento, avveniristico e di design, occupa 19mila metri quadrati dedicati a produzione, ricerca e sviluppo delle ‘cellule della speranza’. Sul tetto 1.900 pannelli solari permettono di “ridurre al minimo l’impatto del nostro processo produttivo sull’ambiente. Volevamo limitare il più possibile il consumo di risorse naturali. Dunque fin dall’inizio l’idea era quella di far funzionare l’edificio esclusivamente con energia sostenibile. Per aziende come la nostra è molto insolito, ma ce l’abbiamo fatta. Quindi ora lo stabilimento è al 100% green”, spiega Vink. A colpire è anche il fatto che il sito sia stato concepito in modo da essere flessibile: alcune aree sono state lasciate ‘libere’ per poter ospitare nuove funzioni, via via che si rendevano necessarie. “Quando ti occupi di una ricerca pionieristica, devi essere flessibile: le cose cambiano nel tempo”, rileva con un sorriso la manager. Qui ricercatori e scienziati di 50 nazionalità diverse (per il 52% donne) sono impegnati nella produzione delle Car-T. Ma non deve stupire che il sistema adottato sia molto diverso rispetto a quello che siamo abituati a vedere in un tradizionale stabilimento farmaceutico. “Qui tutto parte dal paziente o, meglio, dalle sue cellule. E il processo di produzione è complesso”, sottolinea Vink.

Scienza, tecnologie e speranza
Parliamo di un prodotto vivente che – nel caso dell’Italia – arriva al sito con un camion o in aereo dopo massimo 70 ore di viaggio, custodito in una piccola scatola, un po’ come accade per gli organi destinati al trapianto. Qui le cellule vengono ingegnerizzate, controllate e quindi ‘abbattute’, per poi essere rispedite al paziente per la reinfusione. “Passano in media 19 giorni tra l’arrivo e il ritorno delle cellule. Ma lavoriamo per ridurre questo lasso di tempo, ben consapevoli del fatto che ogni giorno conta per i nostri pazienti”, spiega Karen Vink. L’attenzione da parte di tutti è massima: su 100 cellule, 96 ricevono l’ok e vengono spedite ai pazienti in 25 diversi Paesi attraverso trasporti dedicati (il gruppo ha fatto un accordo con la compagnia Klm). Se malauguratamente qualcosa dovesse andare male nel corso del viaggio, il materiale di riserva resta custodito nello stabilimento. E i risultati? “Più del 46% delle persone trattate sopravvive a 5 anni, in molti casi in remissione completa”.

I blue mushroom
Nello stabilimento colpiscono i tanti refrigeratori di dimensioni diverse, quelli grandi come lavatrici, quelli più simili a ‘pozzetti’ – usati per abbattere la temperatura dei materiali – e i ‘funghi blu’: qui le cellule ingegnerizzate vengono conservate nell’idrogeno liquido per un massimo di 70 giorni. Quello di Hoofddorp è uno dei tre centri nel mondo ‘targati Kite’ destinati alla produzione delle Car-T. “Il nostro stabilimento consente di effettuare 4mila trattamenti l’anno, per pazienti in Europa, Paesi Arabi e Brasile”, precisa Karen Vink. Se vi chiedete perché il Paese sudamericano sia ‘servito’ da Amsterdam e non dagli Usa, pensate al legame con il Portogallo e poi date un’occhiata alla cartina. L’obiettivo, infatti, è assicurare alle cellule il percorso più rapido possibile.

Movimenti lenti
C’è anche un tema, comprensibile, di sicurezza. La sterilizzazione è infatti una priorità e gli standard sono elevatissimi: anche la minima contaminazione potrebbe compromettere la qualità del prodotto. Così nei laboratori gli operatori, bardati come astronauti, si muovono lentamente per sfruttare l’effetto purificatore dell’aria diffusa dal soffitto all’interno di stanze a pressione speciale, mantenendo i gomiti piegati come in preghiera nei momenti di riposo, così da lasciare cadere per gravità eventuali particelle di polvere. Servono tre mesi di formazione nell’accademia interna dello stabilimento, ci spiegano, per imparare a muoversi in questi spazi. E, immaginiamo noi, anche una grande capacità di autocontrollo. Nel sito i pavimenti hanno colori diversi in base al tipo di pulizia richiesta, e i passaggi dei materiali da una zona all’altra avvengono attraverso spazi e addetti dedicati.
Non solo: sono previste aree per il disimballaggio e la pulitura manuale di ogni singolo oggetto che entra nell’edificio. Mentre tutto ciò che è ritenuto non idoneo, viene sigillato in uno spazio apposito, prima di essere smaltito.
“Siamo organizzati per lavorare in base a turni di 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno, feste incluse, perché le cellule non si fermano”, continua Karen Vink. Ma presto le cose potrebbero cambiare ancora. “Si stanno automatizzando alcuni processi, con l’obiettivo di accelerare le procedure e aumentare ancora la sicurezza”, assicura la manager. Perché questa è una terapia ‘one shot’, che può fare la differenza tra la vita e la morte.

Cosa sono le Car-T
Si tratta di un farmaco vivente che offre una possibilità di cura a pazienti con patologie oncoematologiche (leucemia, linfoma, mieloma) che sono andati incontro a ricaduta dopo una o più terapie. Tutto inizia con il prelievo di cellule dal singolo paziente, separate dal resto del plasma attraverso una tecnica chiamata aferesi, che consente la raccolta dei linfociti T. Questi linfociti vengono poi spediti nei siti deputati al processo di ingegnerizzazione. Qui viene introdotto il recettore Car (Chimeric Antigen Receptor), capace di riconoscere le cellule tumorali: le Car-T esprimono sulla propria superficie il recettore che individua l’antigene specifico presente sulle cellule tumorali. Una volta infuse nel paziente, possono attaccare e distruggere le cellule tumorali.

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