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L’AI? Come il cervello di un neonato

AI robot

Ha appena lanciato il suo primo vagito, il bebè. Ma a che punto è il suo cervello? Ebbene, gli esperti dicono che, pur se si tratta di un organo “in scala ridotta” – mediamente quattro volte più piccolo rispetto a quello dell’adulto – è praticamente completo. Quei circa 100 miliardi di neuroni che ne fanno parte si possono considerare tutti sviluppati.

Addirittura c’è chi dice che numericamente, già dopo pochi giorni di vita, comincia il lento ma progressivo calo numerico di queste cellule. Inoltre ci sono già dendriti e assoni, la corteccia cerebrale è già suddivisa in strati sovrapposti. Eppure… eppure il cervello del neonato non è ancora in grado di raggiungere, in termini di prestazioni, quanto potrà realizzare dopo alcuni anni. Il perché è semplice. In qualche modo, mancano gli stimoli dell’allenamento.

Insomma, i cervelli infantili non si potrebbero considerare completamente “immaturi” come spesso si è fatto. Ma piuttosto pronti ad essere vere e proprie “spugne” disposte ad apprendere. E allora? Allora perché non pensare a far ragionare esattamente sulla falsariga dei cervelli infantili anche i sistemi di AI di seconda generazione, visto che probabilmente l’apparente “impotenza” infantile si traduce in una capacità di apprendimento di modelli di base simili a quelli alla base dell’intelligenza artificiale generativa?

A far balenare come lo studio delle neuroscienze in età neonatale potrebbe diventare, mutatis mutandis, il motore concettuale per lo sviluppo della prossima generazione dei sistemi di Intelligenza Artificiale. La ricerca, apparsa su ‘Trends in Cognitive Sciences’, è stata coordinata da Rhodri Cusack del Trinity College di Dublino. E apre la strada ad ampi spazi applicativi, in termini di metodo, anche per l’AI.

Gli esperti hanno prima di tutto messo a confronto i processi di sviluppo cerebrale in diversi specie animali, giungendo alla conclusione che, appunto, il bimbo sarebbe comunque più maturo di altri piccoli fin dalla nascita. Grazie ad analisi di imaging cerebrale si è visto che buona parte dei molti sistemi nel cervello del bambino funzionano e recepiscono le informazioni che giungono dai sensi. Ma c’è bisogno di una fase di apprendimento, sotto forma di stimoli esterni. Allo stesso modo qualcosa si simile, stando all’indagine, accadrebbe per i modelli di apprendimento automatico, alla base dell’Intelligenza Artificiale.

Anche le reti neurali, infatti, avrebbero bisogno di essere “prone” all’apprendimento nel corso del periodo di pre-addestramento. Insomma, secondo Cusack, esisterebbero profonde similitudini tra il periodo di “addestramento” iniziale del cervello infantile, capace di guidare poi i processi cognitivi più avanti, e la gran mole di informazioni che vengono proposte nei modelli che hanno portato alle grandi scoperte nell’intelligenza artificiale generativa negli ultimi anni, come ChatGPT di OpenAI o Gemini di Google.

E quindi lo studio neurofisiologico di quanto accade al cervello in formazione e agli stimoli post-nascita potrebbe davvero diventare il modello su cui tracciare gli sviluppi di nuovi algoritmi intelligenti. Lo segnala lo stesso esperto: “Sebbene ci siano stati grandi passi avanti nell’intelligenza artificiale, i modelli di base consumano grandi quantità di energia e richiedono molti più dati rispetto ai bambini. Capire come i bambini apprendono potrebbe ispirare la prossima generazione di modelli di intelligenza artificiale. Il prossimo passo nella ricerca sarebbe quello di confrontare direttamente l’apprendimento in cervelli e intelligenza artificiale”.

Come a dire che il cervello dei più piccoli, la sua capacità di incamerare informazioni, selezionarle e farle proprio nel percorso di ragionamento, potrà insegnare molto. Anche alle macchine di oggi. E di domani.

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