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Nell’affollata orbita bassa terrestre – dove si trovano la Stazione spaziale internazionale e migliaia di satelliti artificiali attivi – si aggira da due anni un ospite indesiderato, almeno per l’Occidente. Si chiama Cosmos-2553, un satellite sperimentale lanciato dalla Russia prima ancora dell’invasione dell’Ucraina.

Solo in questi mesi, però, si è scoperto che potrebbe un giorno essere attrezzato con un’arma nucleare da usare contro gli altri ospiti dell’orbita. Un ordigno antisatellite che lo scorso febbraio ha spinto Mike Turner, capo della commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti Usa, a parlare di “crisi dei missili di Cuba trasportata nello Spazio”. Le rivelazioni successive del Wall Street Journal hanno dato più dettagli su una vicenda che mette allo scoperto tutta la fragilità delle norme dello Spazio di fronte alle tensioni geopolitiche che avvengono centinaia di km più in basso.

“Questa situazione rimanda alle norme applicabili agli usi militari, la maggior parte delle quali contenute nel trattato sullo Spazio extra-atmosferico del 1967 sui principi che regolano le attività degli Stati”, spiega a Fortune Italia il professore della Sapienza e capo dell’European centre for space law Sergio Marchisio. “L’articolo 4 stabilisce proprio l’obbligo di non mettere in orbita armi di distruzione di massa, o installarle nei corpi celesti. La Luna, secondo le norme, può essere utilizzata solo per scopi pacifici”.

Nello Spazio “gli usi militari sono sempre stati consentiti, purché non aggressivi”, dice il professore. Ma quella che un giorno potrebbe essere installata su Cosmos – nonostante Vladimir Putin abbia smentito le indiscrezioni – sarebbe un’arma Spazio-Spazio, spiega. Non ci sono dubbi: un’eventuale detonazione sarebbe naturalmente contraria ai trattati, oltre che disastrosa. Manderebbe fuori uso centinaia di satelliti, mettendo in crisi, ad esempio, le comunicazioni civili. Per quanto riguarda il nucleare, completa il quadro il trattato del ’63 sul bando degli esperimenti, precedente a quello del ’67 e successivo alla crisi dei missili di Cuba del ’62. Alla firma si arrivò quando le grandi potenze decisero di chiudere gli esperimenti nucleari nello Spazio che si tenevano in piena Guerra fredda. Il test statunitense Starfish Prime, nel 1962, fece esplodere una bomba atomica da 1,4 megatoni. Furono danneggiati almeno 6 satelliti, in un’epoca in cui in orbita se ne trovavano decine, non migliaia come oggi.

L’articolo 4 del trattato del ’67 “proibisce la collocazione in orbita di armi nucleari, batteriologiche o chimiche, ma non dice nulla sulle armi convenzionali. Lo sforzo diplomatico finora è sempre andato nella direzione di limitare queste armi antisatellite, soprattutto quelle ad ascesa diretta, e integrare l’articolo 4. Anche l’Italia negli anni 70 aveva presentato un progetto per estenderlo ad altre armi”.

I decenni sono passati e la discussione ha animato tanti tavoli diversi (di alcuni di questi ha fatto parte anche il professore) ma la contrapposizione tra Russia e Cina da una parte e Usa e Alleati dall’altra è rimasta granitica. I primi due Paesi hanno “presentato già nel 2008 alla Conferenza per il disarmo di Ginevra un progetto di trattato vincolante che vieta la collocazione di armi e l’uso della forza nello Spazio”. Usa e Paesi occidentali hanno criticato questi progetti, “perché se il trattato vincolante non è associato a determinate condizioni ha una portata relativa: occorre che i termini siano verificabili, che ci siano disposizioni sui dispositivi antisatellite, e la stessa definizione di arma nello Spazio è un elemento limitativo, secondo gli Usa, perché quello che importa sono le intenzioni e i comportamenti responsabili”, spiega Marchisio. La Russia ha opposto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu chiesta dagli Usa lo scorso aprile “ritenendo che in alcuni passaggi ci siano intenzioni malevole”, spiega il professore. Ora gli Usa lavorano per portare la risoluzione nell’Assemblea generale dove, rispetto al Consiglio di Sicurezza, è possibile trovare una maggioranza. “Un po’ come avvenuto con la Palestina membro dell’Onu”, spiega il professore.

Il problema è il completamento di norme che già esistono quindi: “È essenziale, perché tutti gli altri usi dello Spazio sono minacciati da questi rischi. La detonazione nucleare è l’estremo, ma ci sono anche minacce di altro tipo: guerra elettronica, attacchi cinetici, detriti”, come i migliaia rilasciati dall’esperimento antisatellite cinese del 2007 in cui fu abbattuto un vecchio satellite meteo.

“La stessa Russia con la Cina insiste nel dire che ci vuole anche un divieto formale dell’uso della forza nello Spazio. Ma questo c’è già, e lo stesso è stato già violato dalla Russia nel caso dell’invasione dell’Ucraina”. Come fidarsi della Russia attuale allora? “Non è facile, del resto lo stato di tensione geopolitica fa sì che le relazioni tra Russia e Stati Uniti siano estremamente difficili e sensibili”.

Il nervo scoperto

Lo scenario si complica se si considera l’ingresso in orbita di un enorme numero di attori privati, altro nervo scoperto delle norme internazionali dello Spazio. Marchisio spiega infatti che molte delle proteste russe nei confronti degli americani riguardano proprio l’utilizzo di satelliti per il supporto in contesti di guerra, il che secondo l’Est del mondo significherebbe la possibilità di abbatterli, quando necessario.

“Il trattato del ’67, su iniziativa Usa, consente l’ingresso dei privati nello Spazio”. La commercializzazione è iniziata prima degli anni 80 con le telecomunicazioni: già allora tanti Stati si erano dotati di “legislazioni molto complesse” per gli attori privati. Con l’articolo 6 del trattato le attività dei privati sono attribuite con tutte le loro conseguenze ai loro Stati di appartenenza. Per questo la Russia ha attribuito agli Stati Uniti l’intervento di Starlink in Ucraina.

La Cina a sua volta ha fatto una contestazione ufficiale agli Usa per un satellite Starlink che stava per impattare con la stazione cinese. “È chiaro che quando gli operatori privati erano pochi questa regola aveva un impatto diverso”, dice Marchisio, anche considerando la diffusione delle tecnologie dual use. I sistemi tecnologici ad uso commerciale e militare sono un altro elemento di uno scenario sempre più complesso.

“La Russia ha detto che per questo uso duale questi dispositivi possono diventare dei target militari, se usati in un conflitto”. Eppure, quello del dual use “è stato uno sviluppo molto utile dal punto di vista industriale: i privati così hanno grosse commesse, e sono inseriti pienamente nell’industria”, non solo civile, ma anche militare. Insomma, la difesa è una parte integrante del business spaziale, e anzi lo rende economicamente sostenibile per quelle imprese che ora popolano la nostra orbita. Ma nell’epoca della corsa spaziale (non solo all’orbita terrestre, ma anche alla Luna e a Marte), rinforzare le regole comuni non è mai stato così importante. Da una parte, il fatto che i vecchi trattati dell’Onu sul nucleare in orbita siano arrivati durante un periodo complesso, in piena Guerra fredda, fa sperare che un minimo spazio di manovra ci sia anche oggi. Dall’altra, va ricordato che quelle discussioni avvennero solo dopo i primi test nucleari nello Spazio. Speriamo che stavolta un’esplosione non sia necessaria.

 

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