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Lavorare nello spazio, carriere sempre più gettonate

La nostra civiltà potrebbe un giorno essere messa in pericolo dall’impatto di un meteorite o da qualche altro disastro naturale o provocato dall’uomo. I sopravvissuti cercheranno dunque una via di fuga nello Spazio per sopravvivere. È la previsione dello scienziato Carl Sagan, che ha come corollario la necessità di attrezzarsi per tempo a questa evenienza, cominciando a progettare unità abitative orbitali o lunari o con il codice postale di qualche altro pianeta. E oggi siamo già molto avanti in questa direzione, soprattutto da quando dello Spazio hanno cominciato a interessarsi alcune company private, di anno in anno più numerose soprattutto negli Usa.

Ridisegnare un’esistenza nello Spazio richiede una serie di nuove competenze, nuovi lavori ‘spaziali’, che vanno dalla progettazione di spazi abitativi dotati di ogni comfort, all’induzione di adattamenti fisiologici che consentano all’uomo di vivere in condizioni estreme, alla creazione di nuovi framework regolatori e bioetici riguardanti la nuova corsa all’oro delle varie nazioni rispetto allo sfruttamento delle risorse nello Spazio, anche in un’ottica One Health ‘allargata’. Tanto da fare in poco tempo, visto che molti prevedono che entro il 2036 avremo i primi insediamenti umani permanenti su Marte.

Brent Sherwood, vice presidente senior di Space System Development di Blue Origin (fondata da Jeff Bezos) ha iniziato a occuparsi di architettura spaziale una trentina di anni fa, studiando come adattare gli archetipi atavici dell’architettura a questi nuovi habitat. “Costruire una casa a misura d’uomo nello Spazio comporta di tener conto di una serie di fattori ambientali – ricorda Sherwood, sentito al congresso ‘Costruire una civiltà nello Spazio’ organizzato di recente a Firenze da Fondazione Internazionale Menarini – come gravità, atmosfera, temperatura, radiazioni, velocità, il pericolo di essere colpiti da oggetti/meteoriti, la distanza. Senza dimenticare la polvere (lunare, marziana, degli asteroidi, ecc) che è pervasiva e si infila ovunque. Bisogna progettare in maniera umano-centrica, considerando i volumi di attività e le relazioni di prossimità. Molto importante è l’orientamento: svilupperemo architetture che utilizzano il panorama sulla Terra come ‘sostituto’ mentale per il cielo, la luce, i suoni, gli odori, le correnti d’aria, le sensazioni tattili. Senza trascurare le amenities, che diventano fondamentali in questi contesti, perché quando vai nello Spazio ti aspetti un certo tipo di privazioni, ma alcune cose, come il cucinare, sono fondamentali e vanno studiate con attenzione in un’ottica di trans-human architecture”.

Anche medici e biologi avranno un gran da fare. I testi di medicina dello Spazio diventano, anno dopo anno, sempre più voluminosi, pieni di patologie peculiari della permanenza nello Spazio e di soluzioni ad hoc. E in futuro non ci si limiterà a proteggere i coloni con la costruzione di mondi artificiali. C’è chi già parla di tecniche di reingegnerizzazione per consentire all’uomo di sopravvivere in queste condizioni estreme, di sviluppare cioè organismi resistenti al vuoto e alla scarsità di ossigeno. Una soluzione preconizzata anni fa dal fisico e matematico teorico Freeman Dyson, un genio visionario. Ma nel frattempo, in maniera più prosaica, bisognerà capire come funzionano le medicine per il diabete, la pressione alta o la gastrite in condizioni di ‘microgravità’, perché i viaggiatori dello Spazio non saranno più solo astronauti-supereroi dalla salute perfetta, ma un’umanità vulnerabile, con acciacchi vari e patologie, che dovrà continuare a curarsi anche lassù. Sperando che le medicine progettate per la Terra funzionino anche in orbita.

L’età d’oro insomma è iniziata. Nell’industria aerospaziale americana oggi a farla da padrone sono sempre più le imprese private, molte delle quali hanno mutuato dalla Nasa i loro quadri dirigenti. Come Janet Kavandi, già astronauta per tre missioni Shuttle, poi direttore del Glenn Research Center della Nasa e oggi responsabile dei programmi spaziali della Sierra Space (Louisville, Colorado), tra i quali il Dream Chaser, l’unico aereo spaziale commerciale al mondo che rifornirà col suo modulo di carico l’International space station (la stazione spaziale Iss) per poi smaltirne i rifiuti e riportare sulla terra anche campioni di esperimenti.

Un altro avveniristico progetto di Sierra Space, in collaborazione con Blue Origin, è la Orbital Reef, una sorta di parco divertimenti spaziale. Si tratta di una stazione spaziale Leo (Low Earth Orbit) che sarà destinata ad attività commerciali e turistiche spaziali. Ospiterà 10 persone e dovrebbe essere pronta per il 2027. Sierra Space contribuirà con i suoi moduli abitativi Life (acronimo per Large Integrated Flexible Environment) e con il suo Dream Chaser che trasporterà personale e materiali. Blue Origin fornirà i sistemi di lancio.

La dottoressa Kavandi presiederà anche alla selezione di astronauti, aspiranti lavoratori e turisti dello Spazio, per poi sottoporli ad un training ad hoc, che dura un paio di anni per gli astronauti, due-tre mesi per i pendolari dello Spazio e una manciata di giorni per i turisti spaziali. “Nelle selezioni dei ‘lavoratori’ dello Spazio – afferma la Kavandi – saremo molto attenti alle diversità di genere, di etnia e al fatto di possedere delle skill tecniche, preziose nello Spazio. Ma la cosa più importante è che i candidati abbiamo un atteggiamento operativo ‘can-do’, siano in grado di lavorare in team e di aiutarsi gli uni con gli altri”. Più leggero, ma sempre rigoroso il training dei ‘turisti’ dello Spazio. “Nei primi giorni parliamo dei rischi e di cosa fare in caso di emergenza. Poi spieghiamo che un viaggio nello Spazio non è come un lussuoso volo di lungo raggio. Qui ognuno deve essere in grado di provvedere alle proprie necessità e rispettare la strumentazione. Non possiamo permetterci che i passeggeri rompano la toilette, la stazione per riscaldare il cibo o il vetro della postazione di osservazione! Il nostro compito dunque sarà capire a chi dire ‘no’ e sottoporre gli altri ad un training ‘no discussion’. Poi tratteremo altri argomenti, tipo la geologia e la geografia perché dallo Spazio l’unica nazione facile da riconoscere è l’Italia. Faremo anche scoprire dall’alto le conseguenze dei cambiamenti climatici e cosa sta succedendo in Amazzonia; lo leggiamo sui giornali, ma vedere gli effetti della deforestazione dall’alto ti riempie gli occhi di lacrime. Quando diventi testimone diretto del disastro, non c’è più Spazio per il dibattito e i nostri passeggeri potranno diventare convinti paladini della tutela del nostro pianeta”.

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