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L’aumento dei dazi Ue sulle auto cinesi è una buona notizia, ecco perchè

dazi auto cinesi

L’Europa s’è desta. L’aumento dei dazi europei sulle auto cinesi è una buona notizia, significa che l’Europa non ha rinunciato alla propria industria, la “sottomissione” al Gigante cinese non è un orizzonte ineluttabile.

Le ritorsioni di Pechino non mancheranno: a gennaio ha preso di mira il cognac francese, e ha già minacciato di colpire agricoltura e aviazione europee. Eppure, in questo caso, i benefici per il Vecchio Continente superano i costi: i dazi rivisti al rialzo (in media, dall’attuale 10 fino al 48 percento) porteranno miliardi di euro nelle finanze europee e indurranno diversi produttori cinesi a spostare gli impianti in Europa per aggirare i rincari al confine.

La Francia gode, la Germania piange: i tedeschi infatti hanno tentato di minimizzare l’impatto della misura temendone i contraccolpi per l’economia nazionale. Nell’attesa, i costruttori europei avranno il tempo per una transizione più graduale dal motore a combustione interna a quello elettrico. Una transizione che non può essere decisa per decreto: oggigiorno il principale fattore che rallenta la diffusione dei veicoli elettrici è di carattere tecnologico. Costi elevati, difficoltà nella ricarica, bassa autonomia: sono queste le ragioni che zavorrano l’aumento della domanda europea di e-car.

Negli ultimi anni, la Commissione europea ha avuto un approccio dirigista, molto ideologico e poco pragmatico: che senso ha fissare al 2035 lo stop alle auto a benzina e diesel quando si sa in partenza che l’obiettivo è a dir poco velleitario? Le transizioni industriali partono, appunto, dalle industrie, non dalle burocrazie né dai legislatori. Non è immaginabile una transizione che non tenga conto dei costi della riorganizzazione della produzione e delle difficoltà di creare una domanda cambiando le abitudini dei consumatori. Il sogno delle “emissioni zero” non è il principale driver delle nostre scelte di acquisto, soprattutto quando facciamo i conti con l’aumento del prezzo di un bene indispensabile.

Ciò non significa che non si debba continuare a investire nell’elettrico, al contrario si deve continuare a incentivare il settore affinché il salto tecnologico renda un giorno le auto elettriche convenienti e per tutte le tasche. Il futuro è elettrico, ma il futuro dell’Europa non è con gli occhi a mandorla. Dunque, se non si vuole regalare l’intero comparto automobilistico alla Cina, è necessario che l’Europa si difenda dall’aggressività di Pechino ricorrendo anche ai dazi.

Eventuali rappresaglie in quella che è ormai una guerra commerciale non devono impaurirci: la Cina non vorrà mai fare a meno dello sterminato mercato europeo. Discorso analogo riguarda i pannelli fotovoltaici: non c’è concorrenza nella slealtà. È folle ritenere che le aziende europee possano competere con gli omologhi cinesi di settori ampiamente sussidiati da Pechino. Viene da domandarsi perché l’Organizzazione mondiale del commercio, di cui la Cina è membro dal 2001, non agisca in modo incisivo al fine di sanzionare le politiche palesemente lesive del libero commercio internazionale.

Nel comparto dell’auto l’Europa vanta una tradizione di assoluto prestigio. La futura Commissione europea dovrà non solo rivedere l’approccio velleitario degli ultimi anni ma anche immaginare sinergie continentali al fine di preservare fabbriche e posti di lavoro. Non a caso, l’ad di Renault Luca de Meo ha proposto una soluzione “Airbus”, vale a dire una fusione, promossa dai governi, tra Stellantis, Renault e Volkswagen. Non è un’ipotesi realistica ma è la spia di una preoccupazione diffusa circa la necessità di trovare soluzioni a livello europeo per scongiurare il declino di un’industria, auto e componenti, cruciale per l’economia del Continente. I singoli Paesi non sono in grado di fronteggiare il Gigante cinese, soltanto insieme si può invertire la rotta.

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