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Streptococco, quanto è pericoloso e come identificarlo

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Febbre alta, mal di gola, tonsille rosse e dolenti: dopo l’ondata di casi l’anno scorso i genitori con figli piccoli (ma anche adolescenti) hanno imparato a riconoscerlo e, in qualche caso, a temerlo. Parliamo dello Streptococco, un batterio molto comune che provoca sintomi come mal di gola, cefalea, febbre, un’eruzione rosa-rossastra su tutto il corpo che dà una sensazione tattile di ‘carta vetrata’ (scarlattina). Ma in alcuni casi, l’infezione può diventare ‘invasiva’ (iGAS) e dunque potenzialmente grave. Come forse ricorderete, nel 2023 lo streptoccocco è stato protagonista di un alert nel Vecchio Continente.

Streptococco, è allarme in Europa

Ora un lavoro pubblicato su ‘Lancet Microbe’ dai ricercatori della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e dell’Università Cattolica, fa il punto su questo microrganismo, contribuendo a spiegare anche il trend registrato negli ultimi anni.

L’effetto (post) Covid

La ricerca, condotta dal 2018 al 2023, ha indagato l’incidenza dell’infezione da Streptococcus pyogenes (GAS). Come ha precisato Maurizio Sanguinetti, ordinario di Microbiologia all’Università Cattolica, “negli anni della pandemia Covid, cioè dal 2020 al 2022 abbiamo osservato una significativa riduzione di infezioni da Streptococco, sia in termini di quantità che della percentuale dei campioni positivi. Le misure di protezione non farmacologiche, come la mascherina, avevano ridotto il contatto con il microrganismo e l’infezione. Quando invece queste protezioni nel 2023 sono state rimosse, abbiamo osservato una ripartenza dell’infezione, con un’incidenza tornata rapidamente ai livelli del periodo pre-pandemico, quando i campioni positivi erano il 13-16% di tutti quelli esaminati”.

I piccolini

Ma la vera differenza registrata nel 2023 è stata che la fascia d’età dei bambini colpiti non era quella solita, cioè quelli in età scolare e pre-adolescenziale. Ad essere colpiti sono stati soprattutto (ma non esclusivamente) i più piccini under 6 anni. “Il sospetto è che i bambini, essendo stati protetti in modo importante” negli anni della pandemia, “non abbiano sviluppato la normale immunità parzialmente protettiva nei confronti dell’infezione”, ha aggiunto l’esperto. Ricordando che “il contatto con i microrganismi è fondamentale per ‘allenare’ il nostro sistema immunitario a rispondere alle infezioni”.

Il debito immunologico

L’ipotesi è, dunque, che i bambini più piccoli abbiano accumulato un ‘debito immunologico’ che ha impedito loro di sviluppare una protezione, anche parziale, nei confronti dello Streptococco. Che poi, quando ha avuto campo libero, li ha trovati impreparati.

La sfida diagnostica

“Rispetto all’evoluzione epidemiologica, la nostra ricerca e varie altre evidenze pubblicate in letteratura, segnalano un po’ ovunque tanti piccoli outbreak da Streptococco piogeno, con un aumento delle patologie invasive, legate in particolare all’immunotipo M1 che è il più grave e virulento. Questo ci porta ad un’altra importante riflessione, e cioè che la diagnostica di queste infezioni deve essere effettuata in modo opportuno. I test antigenici rapidi effettuati in farmacia possono essere un valido strumento di screening, anche se sono gravati da tanti risultati falsi positivi e falsi negativi. Ma se un bambino è fortemente sintomatico (febbre alta, tonsille aumentate di volume e infiammate) e risulta negativo al test rapido, sarebbe opportuno ripetere il test in un laboratorio per confermare questa diagnosi”.

Lo stesso ragionamento vale anche in caso di positività al test rapido. Insomma “solo un tampone faringo-tonsillare effettuato in laboratorio, seguito da esame colturale (e da un eventuale saggio in vitro di sensibilità ai farmaci, cioè un antibiogramma) permette di caratterizzare il microrganismo, con ricadute sia diagnostiche che epidemiologiche per valutare l’eventuale circolazione di ceppi iper-virulenti”, avverte lo specialista.

Insomma, il test in farmacia va bene, puntualizza, ma “è da integrare però in alcuni casi da una conferma/approfondimento in laboratorio”. “Questa è una malattia che conosciamo bene, ma al contempo bisogna evitare di essere superficiali perché nel 2023 c’è stata una recrudescenza importante e perché questo microrganismo può dare infezioni invasive, anche in individui sani e importanti sequele a distanza di anni, a livello dei reni (glomerulonefrite post-streptococcica), delle valvole cardiache e delle articolazioni, in particolare nel caso del ceppo M1”.

Il trattamento

Per completezza di informazione ricordiamo che le infezioni da streptococco A vengono curate con una terapia a base di antibiotici, che devono essere prescritti dal medico. “In caso di faringotonsillite, il medico potrebbe prescrivere anche terapie di supporto con farmaci antidolorifici (es. paracetamolo) per ridurre i disturbi, la febbre e dolore alla gola (faringodinia)”, ricorda l’Istituto superiore di sanità. Gli antibiotici che appartengono alla classe dei beta-lattamici (il più utilizzato è l’amoxicillina) sono i farmaci di elezione sia per le faringotonsilliti che per gli altri tipi di infezioni. A tutt’oggi, non sono stati segnalati casi di streptococco di gruppo A resistenti agli antibiotici beta-lattamici.

Lo streptococco di gruppo A può mostrare, tuttavia, resistenza a macrolidi o clindamicina “per cui è auspicabile effettuare un antibiogramma prima del loro utilizzo”, ricordano dall’Iss. Oltre agli antibiotici, per le malattie invasive sono necessarie cure di supporto, i casi gravi possono essere ricoverati in terapia intensiva e, talvolta, può essere necessario un intervento chirurgico per rimuovere il tessuto necrotizzato.

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