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Made in Italy, l’agroalimentare vale il 10% dell’export italiano

Export food&beverage italiano
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Alta qualità, sicurezza alimentare, gusto unico, un’offerta di prodotti ampia e diversificata, in grado di esaltare le peculiarità di ciascuna regione: sono alcuni degli ingredienti che spiegano l’intramontabile successo del Made in Italy nel mondo. I numeri sull’agroalimentare, d’altronde, parlano chiaro: nel 2023 l’export ha raggiunto il valore record di 64,4 mld di euro, facendo segnare un +6% rispetto al 2022. Un dato che rappresenta più del 10% delle esportazioni italiane.

“L’agroalimentare sta vivendo un ottimo momento: fra il 2019 e il 2023 le esportazioni sono cresciute dell’8,9%, un dato molto significativo. Una dinamica di crescita accelerata, confermata dal fatto che l’agroalimentare è stato uno dei pochi settori a crescere anche nel 2020, l’anno della pandemia. Anche il 2024 è iniziato positivamente: il mese di gennaio ha fatto registrare un incremento delle esportazioni del 12,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente”, spiega Francesca Corti, economista dell’Ufficio Studi di Sace che in occasione di Cibus, il Salone internazionale dell’alimentazione ospitato a Parma dal 7 al 10 maggio, ha diffuso “Sace a Cibus per accompagnare le imprese dell’agroalimentare”, un focus che analizza le performance del settore agroalimentare italiano. 

I prodotti più ambiti

Sono le bevande – su tutte il vino – a rappresentare il principale comparto di export, con una quota pari al 19%. Ma a guidare la buona performance del settore sono stati anche pasta e prodotti da forno (+8,6% rispetto all’anno precedente), latte e formaggi (+10,3%), preparazioni di ortaggi e frutta (+12,5%) e altre preparazioni alimentari, fra cui salse e conserve (+13%).

Le destinazioni 

La Germania si conferma ancora una volta la prima destinazione per il settore: nel 2023 ha accolto oltre 10 mld di prodotti agroalimentari italiani, pari al 16% del totale. I tedeschi sono grandi consumatori di bevande, pasta e prodotti da forno, frutta e ortaggi. Segue la Francia con un peso dell’11% sul totale. Al mercato francese, in particolare, è destinato quasi un quinto dei prodotti lattiero-caseari. Con 6,7 mld di prodotti importati, gli Stati Uniti rappresentano la terza geografia di sbocco per il settore. A questi mercati consolidati, se ne aggiungono altri che, benché ancora poco presidiati dall’export italiano, hanno mostrato negli ultimi anni grande dinamicità: Vietnam, India e Corea del Sud in Asia, ma anche Polonia in Europa e Messico in America Latina. 

Esportazioni regionali 

L’Emilia-Romagna è ancora una volta la maggiore esportatrice, con un peso del 18,2% sul totale delle vendite oltre confine. Seguono Lombardia (16,2%), Veneto (14,9%) e Piemonte (13,8%). In Puglia, Liguria e Sicilia inoltre, la vendita dei prodotti agricoli assume una particolare rilevanza, arrivando a incidere fino al 40% sul totale delle esportazioni. 

Le ragioni del successo

“Il valore aggiunto del nostro comparto sono le family company, aziende di famiglia medie e piccole con profonde radici sui territori”, spiega a Fortune Italia Riccardo Caravita, brand manager di Cibus. “Il Made in Italy di cui oggi tanto si parla è garanzia di qualità e tracciabilità dei prodotti, di controllo e sicurezza alimentare. I produttori italiani sono molto attenti ai temi legati alla sostenibilità e al benessere animale, fattori che all’estero godono di grande considerazione”, aggiunge Caravita. 

Ma è anche nella sapiente contaminazione fra antico e moderno, tradizione e innovazione che vanno ricercate le ragioni del successo italiano. “Sappiamo intercettare la domanda crescente di prodotti salutari, riuscendo, senza mai rinunciare al gusto e alla tradizione, a contaminare e reinterpretare molti sapori. E poi ci sono la ricchezza e la biodiversità del territorio, che consentono una varietà unica nella produzione agroalimentare. “Non è un caso – conclude Caravita – che l’Italia sia il Paese col maggior numero di certificazioni Dop e Igp. Il nostro è uno dei pochi Paesi al mondo che riesce a essere autosufficiente per quali tutte le principali filiere alimentari, dai formaggi alle carni, dai cereali ai semilavorati. E dove non disponiamo della materia prima, siamo comunque fra i più bravi a trasformarla”. 

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