Pronto soccorso, la sfida dei 4 mln di accessi impropri

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Numeri che fanno riflettere. Quando incappano in un problema di salute, infatti, gli italiani spesso si rivolgono al pronto soccorso. Un po’ troppo spesso, in realtà. Almeno se guardiamo agli ultimi dati disponibili. Nel 2023 infatti sono stati ben 18,27 milioni gli accessi negli ospedali sede di Pronto soccorso e di Dipartimento di emergenza urgenza e accettazione di primo e secondo livello (Dea I e Dea II): +6% rispetto al 2022. Ve ne sarete accorti, perchè basta varcare le porte di un ospedale per trovare strutture affollate, specie nel fine settimana.

Dall’ultimo report Agenas emerge anche come la prevalenza dei pazienti – dopo valutazione medica – sia caratterizzata da codici bianchi e verdi (68% dei casi). Con circa 4 milioni di accessi impropri. Insomma gli anni sono passati, ma il problema resta: quando si sta male o si è preoccupati per la propria salute, spesso diventa difficile trovare risposte alternative al pronto soccorso sul territorio. Così queste strutture continuano a essere prese d’assalto. Un seprente che si morde la coda.

L’attesa delle case di comunità

“Per cercare di dare un nuovo indirizzo alla sanità italiana e portarla fuori dalle sabbie mobili dove è impantanata, un ruolo importante dovrebbe giocarlo un’opera di informazione mirata e sensibilizzazione dei cittadini”, commenta il segretario nazionale della Ugl Salute Gianluca Giuliano. L’afflusso di cittadini che si sono rivolti alle strutture di emergenza con codici classificati come bianchi o verdi “di fatto risulta essere una delle cause che ha portato i pronto soccorso al collasso. Dove è la medicina territoriale di cui, da anni, ci si riempie la bocca? Il filtro che dovrebbe garantire migliore assistenza è di fatto saltato. La realtà è che stenta a decollare e il rischio che case ed ospedali di Comunità divengano delle nuove cattedrali nel deserto è altissimo. Non bastano mura, serve riempire le strutture dei territori con operatori sanitari formati, capaci di essere un nuovo esercito di professionisti al servizio dei cittadini. Che a loro volta dovranno essere informati e sensibilizzati sui diversi livelli di accesso alle cure, non considerando i Pronto Soccorso come unica soluzione”.

L’accessibilità

Ma torniamo al report: lo studio Agenas indica come la popolazione non in grado di raggiungere le strutture di pronto soccorso entro 30 minuti (3,4 milioni pari al 5,8% della popolazione) potrebbe essere decisamente ridotta con la corretta implementazione del DM 77/2022, che individua la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel servizio sanitario nazionale (Ssn), attraverso la presa in carico dei pazienti all’interno delle nuove strutture previste dal Pnrr. Nelle Regioni in cui il decreto è stato implementato, si nota un miglioramento della presa in carico dei pazienti e un efficientamento del personale sanitario.

Mai di lunedì

In un quadro come quello descritto, colpisce infine che circa il 75% delle strutture di pronto soccorso registri un numero di accessi al di sotto degli standard (nel 29% dei casi si individuano meno di 15.000 accessi annui). E questo mentre i Dea di primo livello registrano una performance migliore. Infine, l’afflusso maggiore di pazienti al pronto soccorso non si verifica – come potremmo pensare – nel fine settimana, ma il lunedì tra le 8.00 e le 12.00.

Infermieri e bisogno di cure

“I numeri sugli accessi impropri ai pronto soccorso oltre a dirci che la strada del potenziamento dell’assistenza territoriale, imboccata con il Pnrr, è quella giusta, sono anche un’ulteriore conferma di quanto noi sosteniamo da tempo: valorizzare le professioni sanitarie non mediche, in particolare quella dell’infermiere, può dare risposta al bisogno di cure dei cittadini”, sottolinea il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega.

È il caso dei malati cronici, “che potrebbero prevenire ricadute ed evitare di fare ritorno nei pronto soccorso proprio attraverso la presa in carico da parte dell’infermiere di famiglia nelle Case di comunità. Inoltre promuovere l’attività diretta degli infermieri in ambulatori ad hoc, una volta riconosciute a questa professione competenze avanzate, può rivelarsi il vero punto di svolta, riuscendo a incidere sia su quel 22% di accessi impropri e quindi riducendo i tempi d’attesa, sia sul fenomeno odioso delle aggressioni che nella maggior parte dei casi – conclude Bottega – è l’effetto di una mancata risposta alla domanda di cura”.

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