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Anticipare le tendenze attraverso l’AI, il parere di Davide Arduini

Cambia il mondo, cambia il modo di raccontarlo. Sono le agenzie di comunicazione a raccogliere una sfida quanto mai ambiziosa: valorizzare le imprese e le loro storie, in una società sempre più digitalizzata ed esposta a repentine trasformazioni. L’ultima, in ordine di tempo, è l’avvento dell’intelligenza artificiale, una tecnologia dall’impatto dirompente che promette di stravolgere ogni aspetto della vita umana. E poi ci sono i social network, canale ormai ineludibile se si vuole essere competitivi a tutto tondo e rafforzare l’identità di un brand. Abbiamo approfondito questi temi con Davide Arduini, presidente di UNA – Aziende della Comunicazione Unite e Ceo di Different.

L’intervista

Quali sono oggi le principali sfide per il settore?

In primis c’è la sfida della total audience, cioè la misurazione di tutte le attività di comunicazione, in modo da poter ampliare notevolmente il perimetro delle attività affidate alle agenzie. Inoltre bisogna capire se e come l’intelligenza artificiale cambierà il nostro settore. E poi riuscire a governare nel miglior modo possibile le intersezioni sempre più evidenti fra media, dati, tecnologia ed editoria.

A proposito di intelligenza artificiale. Che cosa ne pensa dell’AI Act approvato dal Parlamento europeo?

Regolamentare l’AI rappresenta un grande valore aggiunto per l’intera industry, perché delimita e definisce gli ambiti di manovra. Di solito ci troviamo a inseguire ciò che accade oltreoceano, in Silicon Valley, mentre in questo caso l’Europa ha dato un contributo importante. In molti stanno parlando dell’AI in termini apocalittici, ma siamo solo agli albori di questa tecnologia e al momento fare previsioni è abbastanza azzardato. Cambieranno le professioni, ma sono convinto che il fattore umano resterà centrale. Molto ruoterà attorno al discorso sulla proprietà intellettuale: l’AI si appropria di ciò che è stato prodotto da altri e lo trasforma; riconoscere il valore del materiale di partenza è fondamentale.

Com’è cambiato negli ultimi anni il lavoro delle agenzie?

La comunicazione è cambiata moltissimo e di riflesso anche il nostro lavoro. Oggi alle aziende della comunicazione è riconosciuto il ruolo di precursori sul mercato; ci viene richiesto di anticipare le tendenze. Prima della pandemia eravamo considerati come dei meri esecutori. Adesso siamo visti come gli abilitatori della tecnologia, quelli che possono far evolvere i brand perché conoscono e anticipano i trend. Molti temi, poi diventati centrali nel dibattito pubblico, sono stati veicolati in principio dal mondo della comunicazione: penso alla sostenibilità ma anche all’attenzione per il metaverso, che adesso si è affievolita ma probabilmente tornerà in auge. Abbiamo nobilitato la nostra attività.

Quali sono i tratti distintivi della comunicazione ai tempi dei social?

Ormai è crollata la distinzione fra comunicazione tradizionale e digital: la comunicazione è solo una. In questa fase credo si assista a un miglioramento qualitativo nella strategia di utilizzo dei social. Siamo passati da un uso massivo, incentrato sull’esigenza di fare tanti post al giorno, a un uso più selettivo. Lo stesso sta avvenendo con i content creator. Si dà più importanza a fare contatti di qualità. Il recente intervento da parte del Garante è stato molto positivo: ha dato norme certe e ha fissato il perimetro del mercato. E ciò ha reso anche le aziende un po’ più serene nell’investire in campagne di marketing sulle piattaforme.

Ormai le aziende sembrano aver abbandonato quella reticenza iniziale nell’affidarsi a social e content creator per le proprie campagne.

È un passaggio che è avvenuto già da diversi anni, ormai non si può fare a meno di essere digitali e di questo se ne sono accorti tutti. Il passaggio è stato brusco, soprattutto all’inizio: una vasta prateria in cui ciascuno cercava di fare la propria parte, non senza una certa confusione. Oggi si registra una sempre maggiore consapevolezza da parte dei consumatori, che non sono disposti a farsi prendere in giro. Per questo le cose vanno fatte bene, altrimenti si rischia di pagare un prezzo salato.

Il fenomeno dei content creator sembra aver contribuito ad alimentare una sorta di commistione fra marketing, informazione e comunicazione. Qual è la sua analisi?

Io sono un liberale ma amo le regole e credo che anche sull’attività di branded content servano norme chiare e ben definite. Oggi i consumatori sono molto più responsabili dal punto di vista etico rispetto al passato. Bisogna regolamentare in maniera non ossessiva ma chiara gli ambiti in cui ci si può muovere.

Quali sono secondo lei le qualità che deve avere un buon comunicatore?

Deve essere in primis una persona competente e preparata. Una volta un professionista si specializzava su un aspetto specifico: gli eventi o i social o le campagne BTL. Oggi i professionisti devono saper fare tante cose diverse. Dobbiamo essere da un lato consulenti dei nostri clienti, dall’altro degli anticipatori delle tendenze. Se sale alla ribalta il tema del metaverso, dobbiamo essere i primi a proporlo ai clienti, anche assumendoci il rischio di commettere qualche errore. L’importante è che sia un rischio calcolato.

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